VARESE

MONUMENTI E LUOGHI DI INTERESSE

Sacro Monte di Varese

CASA MUSEO LODOVICO POGLIAGHI al Sacro Monte di Varese (Va)

Al Borducan ristorante hotel

Alle Colonne ristorante hotel

Il Parco e gli Affreschi B&B

Ville Ponti location per eventi

Villa Menafoglio Litta Panza

Castello di Masnago museo 

Villa Mirabello museo archeologico

Palace Hotel

Pista ciclabile lago di Varese

Grand Hotel Campo dei Fiori

Un capolavoro dimenticato

Il Grand Hotel Campo dei Fiori di Varese è un albergo situato sul monte Tre Croci, nella zona a nord del territorio comunale di Varese. Progettato nel 1908 da Giuseppe Sommaruga, fu molto attivo nella prima metà del Novecento e rappresenta, per struttura e arredi, un notevole esempio di liberty italiano. Chiuso nel 1968, versa al 2016 in stato di semi-abbandono.
Nel primo decennio del XX secolo il Varesotto era divenuto una popolare meta di villeggiatura estiva. Una delle località preferite dai turisti era il monte Campo dei Fiori, che offriva la quiete e il fascino della natura selvaggia montana a poca distanza dal centro città di Varese. Vari privati pertanto decisero di costruire, sul versante sud della montagna, varie ville, perlopiù nello stile architettonico allora maggiormente in voga, il liberty.
Complice il contestuale sviluppo della rete dei trasporti (funicolare e tramvie), nel 1907 alcuni imprenditori, interessati ad investire nel turismo a Varese e al Campo dei Fiori, decisero di costituire la Società Anonima dei Grandi Alberghi Varesini ed incaricarono l'architetto Giuseppe Sommaruga, uno dei maggiori esponenti del liberty italiano, di progettare degli edifici a scopo ricettivo, alcuni dei quali da costruirsi nella zona del monte Tre Croci. Nella fattispecie, fu commissionato un albergo da 30 camere (che diventerà poi il ristorante Belvedere), le stazioni della funicolare e un altro hotel da 200 camere (il Grand Hotel), molto lussuoso.
Il cantiere ebbe inizio nel 1910 e terminò nel 1912, mentre il ristorante e la funicolare (che fu data in gestione alla Società Varesina per Imprese Elettriche) entrarono in funzione qualche tempo prima.
Per la costruzione del complesso furono impiegate ingegnose soluzioni costruttive ed impiantistiche, comprese mine e cariche di dinamite per scavare la roccia, e l'intervento complessivo modificò profondamente il paesaggio della zona, giacché attorno agli edifici fu costruito un vasto giardino. Dopo la sua apertura, per circa mezzo secolo il complesso fu meta di un grande flusso di turismo d'élite, interrotto solo dalle due guerre mondiali. Nel 1947 un incendio devastò l'ultimo piano, che fu riparato frettolosamente con una struttura prefabbricata. Nel 1958, con la chiusura della funicolare, ebbe inizio il declino del flusso turistico e, verso il 1968, albergo e ristorante chiusero i battenti.
Nei vent'anni successivi l'albergo, complice il totale disinteresse dei proprietari e la negligenza dei custodi, fu via via spogliato di molti pezzi d'arredo d'epoca (alcuni di enorme valore), di cui si salvò solo una parte. Presumibilmente attorno agli anni '80 (ma mancano fonti certe al riguardo) la mansarda prefabbricata impiantata nel 1947 fu sostituita da una più robusta copertura in muratura rivestita con guaine bituminose e fogli di rame (o materiale simile), al 2016 tuttora presente.
ci saranno possibilità di visita come negli anni passati, per il momento nulla

villa S. Pedrino

edificata a partire da fine Seicento per opera della nobile famiglia milanese De Cristoforis, e "villa Visconti-Poggi-Esengrini", nota anche come "villa Montalbano" dal nome del colle sul quale sorge, compreso tra la chiesa di S. Antonio abate alla Motta e piazza Buzzi.

Villa Mozzoni

La dimora nella Castellanza di Biumo Superiore è della famiglia Mozzoni dall’inizio del ‘700.

La Villa, comprendente una lunga serie di sale e saloni il cui arredamento documenta il passaggio di più generazioni, si affaccia su una quieta piazzetta alberata da ippocastani. È caratterizzata da un cortile sopraelevato con quaranta colonne che si apre dietro a un portico di cinque arcate. La funzione scenica di questa disposizione è più che evidente e ad essa concorrono altri elementi quali la differenza di quota dei piani dei cortili, raccordati da uno scaloncino e inframezzati da colonne, nonchè la fuga dei colonnati sui lati del cortile.

Tutti gli spazi della casa gravitano proprio sul cortile, in cui confluisce anche lo scalone d’onore.
Il parco, invece, rimaneggiato nell’800 dalla bisnonna dell’architetto Guglielmo Mozzoni, presenta un parterre a contatto con la casa, in origine all’italiana, mentre il resto del declivio, confinante con un bosco è stato realizzato all’inglese conservando tale carattere.
La villa è tuttora di proprietà dell’erede di Carlo e Guglielmo Mozzoni, che occasionalmente la apre per mostre d’arte o architettura.

Palazzo delle poste

dell'architetto Angiolo Mazzoni. Edificato nel 1933, è un compromesso stilistico tra l'accentuato monumentalismo della facciata, determinato dalle gigantesche semicolonne sulle quali svettano sculture in bronzo, e la maggiore modernità delle parti restanti non in vista che evidenziano un linguaggio, al contrario, più sobrio ed antiretorico.

 Palazzo di Giustizia

progettato nel 1928 dall'architetto Morpurgo, le sedi di partito quali la Casa del Fascio (arch. Loreti) , la Casa del Balilla e la Casa del Mutilato, oggi edificio di proprietà comunale con una sala adibita a concerti e manifestazioni culturali.

 Torre Civica 

(anche nota come Torre Littoria o del Littorio fino al 1945) è un edificio situato nella città italiana di Varese, nella centrale Piazza Monte Grappa.

Progettata in stile razionalista dall'architetto romano Mario Loreti (attivo in città fino al 1942), nel quadro della vasta opera di riqualificazione del centro cittadino avviata sotto l'amministrazione fascista in occasione della promozione di Varese a capoluogo di provincia, fu costruita tra il 1937 e il 1938.

Onde ostentare reverenza verso l'autorità religiosa, si decise di mantenerla lievemente più bassa rispetto al vicino campanile di San Vittore (54 m contro 77,91).

 Palazzo Biumi

nobile dimora seicentesca di una delle famiglie più in vista del borgo. Su due lati della corte, precedenti la costruzione dell'edificio, sono tuttora visibili alcuni affreschi di illustri personaggi locali. Il broletto, oggi area di passaggio, era in origine un mercato di granaglie, anche se l'etimologia "piccolo brolo" (verziere, piccolo orto o giardino) richiama precedenti attività diverse da quelle di natura agro-alimentare. Fino al 1882 il cuore della vita civile e amministrativa di Varese era il palazzo Pretorio in piazza Podestà, uno spazio pubblico che, ampliato nel 1599 con la demolizione di alcuni preesistenti edifici, ospitava anche le locali carceri. Dal 1850 il cuore civile del vecchio borgo fu collegato attraverso l'"arco Mera" al centro religioso, dominato dalla basilica di S. Vittore e dall'imponente torre campanaria del Bernascone, dietro la quale sorge una delle più antiche testimonianze monumentali della città, il battistero di San Giovanni Battista.

Palazzo del Pretorio 
è situato nel cuore cittadino di Varese, in piazza del Podestà, a fianco a Palazzo Biumi. Il palazzo è una delle poche testimonianze del passato comunale della città, resistito al progetto di urbanizzazione posto in essere all'inizio del Novecento.
Il palazzo fu sede del pretorio e quindi del municipio di Varese per più di trecento anni, fino al 1882, anno del trasferimento a Palazzo Estense. La sua edificazione voluta dalla comunità nel 1566, comincia nel 1570.
La piccola campana sul tetto viene collocata nel 1589. Serviva a convocare la popolazione in caso di riunioni d'interesse generale, a segnare l'ora del coprifuoco o di chiusura delle osterie. L'interno del palazzo mantiene tutt'oggi la forma originale cinquecentesca, mentre la facciata esterna e il porticato sono frutto di un restauro ottocentesco.

monastero di Sant'Antonino

conosciuto come sala Veratti - dall'omonima famiglia che acquistò il complesso dopo la soppressione del monastero nel 1789 da parte dell'imperatore Giuseppe II - è attualmente uno spazio pubblico destinato a conferenze, mostre e temporanee esposizioni d'arte. Alla sala, di pianta rettangolare, si accede per quella che anticamente era la parete di fondo (inizialmente senza aperture), mentre l'antica porta che si affacciava sul chiostro di Sant'Antonino è stata murata. Il raffinato apparato decorativo, risalente al XVI secolo, è stato completato a partire dal 1736 con interventi di Pietro Antonio Magatti e dai fratelli Baroffio.

Torre di Velate

La Torre di Velate è una torre di guardia in rovina a Velate, frazione di Varese, risalente all'XI secolo che, inserita nell'antica struttura difensiva del Limes prealpino, era destinata a presidio militare della sottostante via per il lago Maggiore.

castello di Belforte

Sul promontorio che domina il quartiere di Belforte, sorge un antico maniero in rovina, comunemente indicato con il nome di 'Castello'.

Tra i Cronisti milanesi c'è chi lo fa risalire alla venuta dei Troiani (Fiamma), chi ritiene fosse una città grande, antica e ben turrita (Morena), chi un villaggio con difese, che acquistò una certa importanza per le lotte tra Como e Varese (Giulini). Il Brambilla riferisce poi che "negli abitanti de' cascinali circostanti Belforte, (tra cui uno denominato Cencà - Cento case) vive ancora la tradizione, che, se non nel punto preciso, almeno in prossimità dell' attuale Belforte, sia esistita, come dicono, una vasta città, ora scomparsa.

Più probabilmente il toponimo deriverebbe da una contrazione di Bellum-Fortis, a conferma dell'esistenza di una postazione militare prima del Medioevo.

Strategicamente sorto a controllo della zona per le comunicazioni con Milano e Como da una parte e con gli Stati confinanti dall'altra, il castello di Belforte è antichissimo e rappresentò la più importante fortificazione del castrum di Varese. Già documentato dal 1165, il fortilizio rivestì un ruolo di particolare importanza nello scontro tra Milano e l'Impero: durante queste lotte, Federico Barbarossa sostò più volte a Belforte, che elesse a roccaforte imperiale.

Nel suo 'Varese e il suo circondario', il Brambilla scrive: "Nel 1168, i Varesini, stipulata la pace colle città della Lega, si chiamano non quelli di Varese, ma quelli di Belforte. È anche assai probabile che Belforte sia stato nel secolo XIV il primo nucleo della nascente Repubblica di Varese; poichè nella formazione degli Statuti di Varese, nel 1347, è Vicario e Console Conforto da Belforte, ed i contemporanei chia mano sovente gli uomini di Belforte i Varesini.

Nel 1400, fu espugnato dai Comaschi, e d' allora cessò la sua importanza, e divenne sede del Marchese Galeazzo Clivio, che, nel 1445, legava erede delle proprie sostanze l'Ospedale di Milano."

Verso la fine del XVI secolo la collina e gran parte degli appezzamenti di terreno coltivati sino al fiume Olona divennnero di proprietà della famiglia Biumi, che, sulle rovine dell'antico castello, avviò la costruzione di un lussuoso edificio residenziale. Non sono certi né i commitenti (Giovan Pietro Biumi o suo figlio Matteo) né l'autore del progetto (Giuseppe Bernascone, morto intorno al 1630 o il milanese Francesco Maria Richini morto nel 1658). L'edificio non venne completato, se non per un'ala di due piani con un prospetto a colonne binate e finestre timpanate rivolto sul cortile.

Dal Catasto di Maria Teresa d'Austria si evince che tutti gli edifici della corte e i terreni circostanti erano di proprietà  della contessa Donna Agnese Biumi-Litta.

Nel 1969 venne demolita l'ala ovest della corte per problemi di incuria e di pubblica incolumità. Rimasero i tre lati della corte con la recinzione in muratura dello spazio antistante adibito ad orti.
Nel 2005 nel corso di alcuni lavori per la messa in sicurezza dell'edificio sono affiorate da una parete al primo piano del corpo di fabbrica seicentesco tracce di antichi affreschi, coperti sin qui da strati di intonaci, in corso di progressivo sfaldamento. Questi dipinti rappresentano una Madonna in trono con Gesù e un San Sebastiano e con ogni probabilità appartennero all'antica chiesa di Belforte intitolata a san Materno, citata nel “Liber notitiae sanctorum Mediolani” (XIII sec) di Goffredo da Bussero che faceva parte integrante dell'antico castello, come ipotizza lo storico varesino Bertolone.

Il castello di proprietà Comunale è oggetto di un piano di restauro e recupero.

Palazzo Estense

Fra gli edifici pubblici della città troviamo quello del Palazzo Estense, oggi sede del Municipio, non visitabile. Fu residenza estiva-autunnale e corte di Francesco III d'Este, duca di Modena e Signore di Varese. Venne realizzato su disegni dell'architetto Bianchi nella seconda metà del '700. Pregevole il "Salone Estense" con grande camino di marmi policromi.

Alle spalle del Palazzo si estendono i Giardini Estensi, uno tra i più incantevoli parchi pubblici all'italiana, costruito ad imitazione dei giardini di Schônbrunn (Vienna) e terminato nel 1787.

Villa Baragiola

da menzionare soprattutto per il parco all'inglese. Sul lato nord, all'ombra del monte Campo dei Fiori, nel 1895 l'avvocato Andrea Baragiola inaugurò uno dei primi ippodromi italiani, che si estendeva sino all'area oggi occupata dallo stadio "Franco Ossola" e al suo ampio parcheggio. La villa, d'impianto Ottocentesco, fu ristrutturata nei primi anni trenta e ancora nel decennio successivo, quando fu destinata a seminario di ordine religioso. Passata al Comune di Varese nel 2001, oggi ospita una parte dei suoi uffici, mentre il parco è aperto al pubblico.

Villa Augusta

Villa Augusta fu realizzata nella seconda metà dell’Ottocento, come testimoniato nel Catasto del Lombardo Veneto del 1873, mentre la realizzazione del giardino, di impianto informale, risalirebbe ai primi del Novecento. Inizialmente di proprietà della Signora Augusta Testoni, il complesso fu donato, per lascito testamentario, all’Ospedale di Circolo di Varese e il 30 settembre 1952 fu ceduto alle suore Ausiliatrici del Purgatorio, ordine con sede a Roma. Il 12 dicembre 1968 fu acquistato dal Comune di Varese ed è attualmente sede dell’ASPEM, con il parco ufficialmente aperto al pubblico dal 5 aprile 1970. Al parco si accede da due ingressi, dai quali si dipartono viali curvilinei che delimitano varie aiuole di forma irregolare, contornate da roccaglie, con aree prative punteggiate da esemplari arborei e arbustivi le cui dimensioni rispecchiano le diverse epoche di impianto. La villa è in posizione di rilievo rispetto al giardino, che è posto in lieve declivio, dove i diversi livelli sono collegati fra loro da numerose scalinate. La vegetazione è caratterizzata da numerosi alberi maestosi, fra i quali alcuni grossi cedri, contornanti un gazebo in stile neoclassico (probabilmente risalenti all’impianto originario), un gruppo di faggi purpurei, un annoso esemplare di quercia da sughero, unico esponente di tale specie presente nei parchi comunali. Oltre alle numerose conifere troviamo dei bei filari di tigli e di ippocastani e, centralmente, un berceaux di carpini, che collega la villa alla parte bassa del giardino. Anche la componente arbustiva è piuttosto ricca, comprendendo rose, azalee, camelie, bossi, tassi, ecc, oltre a un raro esemplare di Cephalotaxus.

Palazzo Orrigoni Litta Modigliani

L’elegante costruzione che si eleva in piazza XXVI maggio, teatro della famosa battaglia di Biumo con la quale, di fatto, si aprì la «Seconda guerra di Indipendenza», la castellanza che vide le forze dei «Cacciatori delle Alpi» respingere gli Austriaci fino alle successive battaglie presso S. Salvatore di Malnate e, quindi, di S. Fermo della Battaglia in provincia di Como, fu già proprietà della famiglia Orrigoni, che, nel medioevo, possedeva gran parte della zona, lo stemma della quale era una grande quercia che si ripeteva, scolpita, oppure dipinta, su varie case.

 Il palazzo ha struttura seicentesca, ampliata nel XVIII secolo, che fu riformata al principio del successivo dall’architetto Simone Cantoni.

Il portale in pietra che s’apre sul giardino, un tempo molto più vasto rispetto ad oggi, il balcone di ferro «all’andalusa» (con le grate “panciute”) di gusto barocchetto ed un piccolo ninfeo nel giardino stesso sono le uniche testimonianze della prima architettura. Nel XVIII secolo furono aggiunti vari balconi, il superbo cancello d’accesso al giardino con i pilastri stemmati in marmo, e, nell’interno, alcuni soffitti a cassettoni ed altri dipinti.
L’originaria pianta ad U non subì mai variazioni ed è giunta a noi intatta; la fronte di accesso al cortile, dove sta il magnifico cancello, rifatta verso l’esterno secondo modi accademici «impero» ricorda, secondo il Bascapè, «le movenze dell’ingresso della Villa Reale di Monza» ed è quindi la seconda testimonianza varesina, dopo il «Salone impero» di Villa Panza del quale parlammo, dei rapporti stretti che ci furono tra Milano e Varese anche in campo architettonico. La parte interna, invece, è caratterizzata da un porticato sostenuto da pesanti cariatidi in pietra che ritraggono alcuni giganti.
A Simone Cantoni si devono anche i tre lati neoclassici che si affacciano sul cortile.

IL NINFEO. Dietro il palazzo si estendeva un ampio parco, oggi molto ridotto, dove è collocato il ninfeo secentesco di pregevolissima fattura con timpani spezzati, mascheroni di pietra e delfini, elementi che richiamano, nella disposizione una netta derivazione dalle architetture di Francesco Maria Richini, capomastro del Duomo di Milano, cui si attribuisce, secondo alcuni, la facciata tardo rinascimentale del «Castello di Belforte», come già raccontammo (altri la riferiscono a Giuseppe Bernascone). Tale ninfeo costituiva il fulcro della prospettiva nell’antico impianto del giardino all’italiana, mentre oggi, ovviamente, data la riduzione del giardino stesso, resta penalizzato nei rapporti tra gli spazi pieni e vuoti.

Villa Dandolo

“Dandolo Magatti pingebat Anno Santo 1725”: sul muro giallo del refettorio al pianterreno dell’antico convento francescano dell’Annunciata, da cui una ditta specializzata stava ricavando una moderna palazzina in via Medaglie d’Oro 27 a Varese, comparve la scritta su fondo rosso. Sono passati quasi trecento anni e torna alla luce l’Ultima Cena di Pietro Antonio Magatti (1691-1767), un artista di punta del settecento varesino, già attivo nel monastero delle romite al Sacro Monte con un affresco di tema analogo. Costruito dai frati francescani nel 1468, fu acquistato a prezzi di realizzo ai primi dell’ottocento, dopo le requisizioni napoleoniche, da Vincenzo Dandolo, scienziato e abile uomo d’affari, oggi diremmo anche disinvolto “palazzinaro”, che fece abbattere muri, coprire affreschi e rimodellare il monastero a villa privata. Il conte Dandolo era un ricco veneziano trapiantato all’ombra del Sacro Monte e la sua famiglia era destinata a passare alla storia: i nipoti Enrico ed Emilio combatteranno con Garibaldi nel 1849 alla difesa della Repubblica Romana e si guadagneranno un posto nella galleria degli eroi del Risorgimento. A Varese aveva conosciuto e sposato Marianna Grossi, sorella del fisico Luigi Grossi, autore con Giovanni Antonio Adamollo della Cronaca di Varese. Si era stabilito a Biumo in una bella villa disegnata dall’architetto Leopoldo Pollack e qui, nella terra che lo aveva adottato e che egli entusiasticamente giudicava “un paradiso in terra”, aveva investito il suo cospicuo patrimonio dedicandosi, nel frattempo, agli amati interessi agricoli: la coltivazione delle viti e dei gelsi, l’allevamento dei bachi da seta, la lavorazione dei filati, la produttività delle razze ovine, l’allevamento delle pecore spagnole di razza merinos, la produzione dei vini e lo sfruttamento agricolo delle campagne. Infaticabile studioso, scrisse oltre cento libri delle sue esperienze. Era un tipico personaggio del suo tempo, un “uomo nuovo” dell’età napoleonica, astuto e spregiudicato quanto bastava per non tirarsi indietro di fronte alla possibilità di fare soldi con le speculazioni immobiliari. A prezzi di saldo (13 mila lire) acquistò nel 1810 il soppresso convento dei frati minori riformati dell’Annunciata (la sola biblioteca era stata valutata 30 mila lire), rilevò terre e proprietà dell’ex convento delle benedettine umiliate di San Martino e l’eremo, i romitori e circa 1690 pertiche di terreno dei carmelitani scalzi al Deserto di Cuasso. Del convento all’Annunciata fece una specie di fattoria. Vendeva semenza e allevava bachi da seta. Vi manteneva le bigattiere più piccole, le mezzane e quelle grandi; altre di varie grandezze faceva gestire dai coloni a Malnate, Varese, Velate e Varano dove aveva comprato terreni a prezzi stracciati. Divenne ricchissimo e con i suoi studi svolse un’importante attività d’innovatore agricolo dando un fondamentale apporto allo sviluppo della gelsicoltura e della bachicoltura in Lombardia, tanto che l’amata Varese gli dedicò una via del centro e un marmo nel lapidario a pianterreno di Palazzo Estense. L’opera gli fu intitolata sessant’anni dopo la morte, nel 1879, dal Comizio Agrario. Venduta e passata a nuove mani, ai primi del novecento la villa ex monastero oggi in via Medaglie d’Oro divenne un collegio studentesco e infine casa di appartamenti privati; fino a oggi, di nuovo tempo di lavori di ristrutturazione per trasformarla in una moderna palazzina. Quando il restauro sarà completato e l’edificio agibile dai condomini, l’ex refettorio con l’Ultima Cena del Magatti diventerà forse una prestigiosa sala convegni oppure la sala da pranzo di un appartamento privato. La vita non si ferma e neppure la storia.

Villa Toeplitz

Residenza di campagna della famiglia tedesca degli Hannesen, venne acquistata dal banchiere di origine polacca Jósef Leopold Toeplitz nel 1914.- Negli anni successivi molti furono gli ampliamenti agli edifici presenti e al parco di proprietà. La parte superiore del complesso richiama i giardini alla francese, e fu infatti progettata da uno studio parigino; convoglia le acque del vicino Monte Martica. La parte inferiore, invece, meno geometrica, richiama i giardini inglesi ed è realizzata in stile neoclassico. Alla morte del banchiere, avvenuta nel 1938, il complesso venne ereditato dalla moglie Edvige Mrozowska e dal figlio Ludovico i quali, al termine della seconda guerra mondiale, vendettero la proprietà a una famiglia legnanese che la utilizzò come residenza privata. Nel 1972 il comune di Varese acquistò l'intera proprietà, che a seguito di una completa ristrutturazione venne aperta al pubblico. La Villa ospitò innumerevoli personalità di rilievo del secolo scorso tra le quali anche membri della famiglia Agnelli.

Il parco è visitabile

Villa Mylius

ceduta al comune di Varese nel 2007. Già di proprietà dei Padri Gesuiti di Varese, nel 1773 la villa e il parco furono ceduti al notabile Francesco Torelli, che la trasformò da modesto edificio in una vera e propria villa, poi venduta nel 1905 all'industriale Giorgio Mylius. Con la sua morte la proprietà venne frazionata tra vari eredi, che nel 1946 si accordarono per cederla al varesino Achille Cattaneo, e da lui donata all'amministrazione.

Villa Recalcati

in località Casbeno edificata nella prima metà del XVIII secolo, poi ampliata nel corso del 1756-75, fu concepita come albergo di lusso, ora è sede della Provincia di Varese e della Prefettura. 

significativa testimonianza di architettura barocca italiana, fu costruita nella prima metà del Settecento accanto ad un precedente edificio dal marchese milanese Gabrio Recalcati, erede di un'antica casata della quale faceva parte anche Francesco Recalcati, segretario di Ludovico il Moro.

Per volere di Antonio Luigi Recalcati, tra il 1731 e il 1775 venne ricostruita in veste barocca, secondo un progetto che abbracciava anche il circostante paesaggio, in quanto il marchese già dagli anni trenta aveva acquistato i terreni circostanti e fatto costruire il grande viale alberato che vi conduceva, costituendo un asse ottico con il suo fulcro nella villa. Ospitò personaggi famosi, fra i quali il poeta Giuseppe Parini.

A metà dell'Ottocento la villa e il suo parco furono acquistati e trasformati nel "Grande Albergo Excelsior", fra i più grandi e frequentati del nord Italia, ospitando personalità quali Giuseppe Verdi e D'Annunzio. La trasformazione in albergo ne comportò il cospicuo ampliamento e l'alterazione del prospetto originale, innalzando i corpi di fabbrica laterali inizialmente più bassi di quello contrale, chiudendo il portico centrale inizialmente aperto sul parco, e ampliando le ali minori.

Il crollo delle presenze turistiche, concomitante alla Prima Guerra Mondiale portò al fallimento dell'albergo. Nel 1927 Varese divenne capoluogo di provincia e nel 1931 acquistò l'intero edificio.

Conserva al suo interno preziose opere d'arte, tra cui numerosi affreschi, perlopiù settecenteschi, opera dei più importanti decoratori varesini dell'epoca, quali Pietro Antonio Magatti e un ciclo di affreschi di Giovan Battista Ronchelli. 

E' possibile visitare il parco.

Palazzo Pretorio

è situato nel cuore cittadino di Varese, in piazza del Podestà, a fianco a Palazzo Biumi. Il palazzo è una delle poche testimonianze del passato comunale della città, resistito al progetto di urbanizzazione posto in essere all'inizio del Novecento.

Il palazzo fu sede del pretorio e quindi del municipio di Varese per più di trecento anni, fino al 1882, anno del trasferimento a Palazzo Estense. La sua edificazione voluta dalla comunità nel 1566, comincia nel 1570.

La piccola campana sul tetto viene collocata nel 1589. Serviva a convocare la popolazione in caso di riunioni d'interesse generale, a segnare l'ora del coprifuoco o di chiusura delle osterie. L'interno del palazzo mantiene tutt'oggi la forma originale cinquecentesca, mentre la facciata esterna e il porticato sono frutto di un restauro ottocentesco.

Oggi è sede del partito politico Lega Nord e di abitazioni private.

Villaggio Scuola Sandro Cagnola a Rasa di Varese

La principale sorgente dell'Olona è situata ai piedi della cava ed andava ad alimentare un'ampia zona paludosa; nel 1902 l'area è acquistata dall'imprenditore edile Albino Cagnola che realizza i drenaggi per l'acqua, consentendo di raccogliere le acque della sorgente nel pozzo da cui ora partono, edifica la villa padronale e cura l'allestimento del parco circostante. Successivamente, Albino cede tutta la proprietà dell'area al fratello, il medico (otorino) Amedeo Cagnola. Conseguentemente alla prematura morte di Sandro Cagnola, figlio di Amedeo, la villa ed il relativo parco (16 ettari) vennero donati nel 1938 al comune di Milano, affinché l'intero complesso fosse destinato a un luogo di riposo per i mutilati; in seguito divenne villaggio per l'educazione dei ragazzi, per poi essere chiuso definitivamente nel 1964 e cadere in rovina. Il Parco Regionale Campo dei Fiori ha avviato attorno al 2009 la ristrutturazione del complesso (edifici e parco), con l'obiettivo di trasformarlo in un centro polifunzionale di educazione ambientale. In esso è stata installata la sede del corpo delle Guardie Ecologiche Volontarie del Parco e oggi vi sorge anche un parco avventura. Altro usufruttario del complesso è il Consorzio dei Castanicoltori di Brinzio, Orino e Castello Cabiaglio, che ivi ha la propria sede.

Fornace della Riana a Rasa di Varese

Sorge a pochi metri dal complesso di Villa Cagnola, ed è un'antica fornace da calce, al 2013 in rovina.

La Necropoli Romana a Rasa di Varese

di epoca precristiana, sita a nord dell'abitato, nel cosiddetto prato della Riana. La stessa denominazione della Riana potrebbe provenire da dell'Ariana, vale a dire "della necropoli Ariana".

Castello di Bizzozzero

Nella castellanza di Bizzozero si conserva iCastello di Bizzozero, costruito tra il XIV – XV secolo. Si ipotizza che l’edificio attuale sia stato costruito su una precedente struttura difensiva, forse di origine longobarda. Dopo il passaggio di proprietà, il castello è stato frazionato in unità abitative private. Di conseguenza il carattere storico e difensivo è stato profondamente alterato. Dell’antica struttura si mantengono alcuni affreschi cinquecenteschi, che decorano la facciata, la volta d’accesso e il cortile interno. Molto bello anche il portone d’ingresso, con forme gotiche. Sempre a Bizzozzero ma nella piazza centrale, si trova la Torretta. Era sicuramente parte delle proprietà della famiglia Bizzozzero, il cui stemma è ben riconoscibile sulla facciata. È questa l’unica certezza sull’edificio, in quanto non si conosce l’epoca né il motivo della sua costruzione. Le valutazioni ministeriali collocano la fabbricazione della torre intorno al XVI secolo, ma il piccolo loggiato con lanterna circolare della parte finale sono probabilmente aggiunte del Settecento. Tra i motivi circa il suo utilizzo vi sono diverse ipotesi. È fortemente possibile che la torre sia stata costruita per motivi di prestigio. Non è però esclusa un’origine militare, per poter controllare tutta la Valle Olona.

Basilica di San Vittore

edificata tra XVI e XVII secolo su struttura trecentesca: il presbiterio fu eretto nel 1542 e il corpo della chiesa su progetto di Pellegrino Pellegrini nel 1580. A latere sorge altresì il relativo campanile, progettato da Giuseppe Bernascone e ultimato nel XVIII secolo, che con i suoi oltre 77 metri d'altezza è il più elevato edificio della città di Varese.

battistero di San Giovanni Battista

eretto tra XII e XIII secolo. All'interno sono presenti testimonianze del preesistente edificio esagonale risalente all'VIII-IX secolo. Al centro, sopra la vasca battesimale del VII-VIII secolo, è la fonte ottagonale monolitica scolpita da un maestro campionese attivo tra il Duecento e Trecento. Sull'altare una Madonna in trono e santi di maestro vercellese del XVI secolo.

chiesa di Sant'Antonio alla Motta

edificata nel 1606-1614 attraverso la trasformazione di un preesistente oratorio su progetto di Giuseppe Bernascone (1565-1627), con interventi interni dei pittori Giuseppe Baroffio e (in misura minore) Giovanni Battista Ronchelli.

chiesa di san Martino

La primitiva chiesa era decorata all'esterno con archetti in cotto (di cui rimangono tracce su via Dandolo) e con due affreschi, San Martino e San Cristoforo, ora scomparsi.

Alla fine del Cinquecento, a seguito della visita pastorale dell'arcivescovo Carlo Borromeo, la chiesa e il convento furono ingranditi; in particolare, fu costruito dietro la chiesa, separato da una grata, un piccolo oratorio da cui le suore potessero assistere alla messa senza violare la clausura, ora distrutto.

Nel corso dei secoli successivi, divenne il monastero femminile più importante della città, ove si trovavano le figlie delle famiglie più importanti della città. Nel 1774 il convento ospitava 58 sorelle.

Fu soppresso durante la Repubblica Cisalpina, nel 1798. Il complesso conventuale fu venduto al conte Vincenzo Dandolo che, vi fece costruire da Leopoldo Pollak nel 1810 Villa Dandolo, oggi Villa Selene. Parte del terreno fu donato al comune per l'apertura dell'attuale via Dandolo. Gli edifici conventuali furono infine demoliti.

Fu riaperta al culto a metà dell'Ottocento. Durante i restauri novecenteschi la balaustra che separava l'aula dal presbiterio fu tolta e riutilizzata come base per la mensa d'altare, e fu tolta dal pavimento la lastra tombale della famiglia Orrigoni che aveva il patronato sulla chiesa.

chiesa di San Giuseppe

edificata come oratorio nel corso del 1504. L'interno è arricchito da preziosi affreschi seicenteschi di Giovan Battista Del Sole, Melchiorre Gherardini e Giovanni Battista Ronchelli, autore degli affreschi sulla parete del coro. La tela nella parete centrale, risalente alla prima metà del Seicento, è attribuita invece a Giulio Cesare Procaccini.

santuario mariano della "Madonnina in Prato

le cui prime notizie risalgono al 1574, in occasione di una visita pastorale nel borgo di San Carlo Borromeo. All'interno dell'edificio è conservato un pregevole affresco tardogotico, forse parte di un'edicola votiva, raffigurante la Vergine in trono con Bambino, e numerosi affreschi di Antonio Busca risalenti al 1667. La facciata della chiesa fu eseguita invece tra il 1678 e il 1686 in pietra arenaria di Viggiù.

oratorio quattrocentesco della "Schirannetta" 

Nel quartiere varesino di Casbeno, tra parchi, giardini e ville, sorge la minuscola chiesa romanica di Santa Maria della Purificazione, detta della Schirannetta.Una piccola costruzione a pianta rettangolare, un tempo isolata nel verde, caratterizzata da un’unica navata d’impianto romanico. È possibile datare gli affreschi interni dell’edificio al 1408, grazie all’indicazione riportata dall’autore sull’orlo del campanello legato al pastorale di Sant’Antonio abate. Sulla parete di fondo del presbiterio, risalta un bell’altare in stucco del secolo XVIII; sulla parete destra, nella fascia superiore una serie di affreschi: una Madonna del Latte; una Madonna con San Giovanni Battista e altri Santi. Nel registro inferiore una bella immagine di Dio Padre, che accoglie il Cristo crocifisso tra le braccia. Si tratta di opere databili tra il secolo XIV e XV. A caratterizzare, in particolare il breve ciclo d’affreschi interni, sono proprio i resti di una Madonna del latte, la visione iconografica che rappresentata la vergine a seno scoperto, in procinto di allattare il figlio. La forte devozione nei confronti del dipinto, legata anche al desiderio di maternità, trova riscontro nell’antica cerimonia della benedizione delle mamme in dolce attesa, che si tiene ogni anno durante la festa della Candelora, il 2 febbraio.

La chiesa parrocchiale di Sant'Evasio a Bizzozzero 

è assai antica già registrata dal Bussero: "In plebe uarixio loco Bexozano est ecclesia sancti euaxii martiris", ma della primitiva costruzione nulla rimane. Verso la fine del Seicento venne ricostruita e nel 1911 si terminò un ardito ampliamento, dovuto all'architetto don Enrico Locatelli, verso la Valle Olona, ad opera del parroco don Antonio Canziani che curò personalmente l'esecuzione dei lavori, arretrando l'abside grazie all'edificazione di imponenti bastioni che ancora oggi sono ben visibili dalla sottostante vallata. Il campanile venne costruito nel 1844 e nel 1848 furono collocate le campane. Una di queste porta la seguente iscrizione: "nata la libertà / nacqui ancor io ad echeggiar / w l'Italia e Pio / vigente il governo provvisorio 1848". Recenti studi del prof. Renzo Talamona stanno finalmente chiarendo le motivazioni della dedica della parrocchiale a Sant'Evasio, al punto che la presenza emblematica a Bizzozero di Evasio santo dell'VIII secolo, martirizzato a Sedula, l'attuale Casale Monferrato, lascia forse meno isolata la prima testimonianza scritta sul paese, contemporanea alle vicende del Santo, la cui devozione è sempre rimasta per lo più circoscritta alla terra piemontese. "Concediamo a quel santo e venerabile luogo tutti quei carpentieri che il predetto luogo si riconosce, tramite il testo di un diploma, aver posseduto fin dal tempo del nostro antesessore Liutprando sia nella valle che si dice Antelamo (Valle d'Intelvi) sia quelli che sono nel villaggio di Besogolo (Bizzozero)" così traduce ed interpreta il Talamona il testo del documento con cui i re Franchi Ugo e Lotario concedono al Monastero di San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia di avvalersi di carpentieri residenti in Val d'Intelvi e Bizzozero, rinnovando una concessione fatta due secoli prima dal re longobardo. L'antichità di tale documento ha sempre assunto una notevole importanza, sia per l'attestazione del nome che come riflesso della mobilità della forza lavoro nell'ambito del regno longobardo, che vede moltiplicarsi, prima della rovina ad opera dei Franchi, scambi di ogni natura tra il Seprio, di cui Bizzozero faceva parte, e Pavia, capitale del regno. Una delle ipotesi altamente prese in considerazione è la devozione delle stesse maestranze di ritorno da Pavia verso il Santo martirizzato: la Chiesa locale si affidò così alla protezione spirituale di Evasio.

chiesa di San Giorgio

località Biumo Superiore per alcuni affreschi del XIV-XV secolo e una "Adorazione con Bambino" di Pietro Magatti;

chiesa di Santo Stefano a Bizzozero

pregevole esempio di romanico lombardo del X-XI secolo.

chiesa di San Cassiano in località Avigno

caratterizzata da un affresco trecentesco su una parete esterna

Chiesa di San Cassiano e Ippolito a Velate

una tra le chiese più antiche del comune di Varese, risalente al X secolo.


chiesa di San Michele Arcangelo

nel quartiere di Bosto, edificio risalente all'XI secolo con affreschi quattrocenteschi e un sarcofago in pietra scolpito dei secoli XI-XII.

chiesa di Sant'Imerio - 

un tempo dedicata a San Michele Arcangelo - nel quartiere di Bosto, edificio risalente all'XI secolo con affreschi quattrocenteschi e un sarcofago in pietra scolpito dei secoli XI-XII.

Madonna della Speranza e della Pace a Belforte

ma è più semplicemente conosciuta come chiesa del Lazzaretto, per essere stata utilizzata come luogo di degenza dei contagiati durante la grande peste del Seicento. Nell'edificio troviamo una tela rappresentante la Vergine e San Maderno, con tutta probabilità dipinta nel XVII secolo da Federico Bianchi.

Chiesa Parrocchiale di Santa Maria degli Angeli a Rasa di Varese 

che conserva l'affresco della Madonna col Bambino e un organo moderno del 1931, opera di Giorgio Maroni, inoltre possiede un piccolo cimitero, situato sulla strada per Varese, poco prima dell'ingresso in paese.

Grotta della Madonnina a Bobbiate

una grotta naturale simile a quella di Lourdes, socoperta da Emma Macchi Zonda nei boschi di sua proprietà e inaugurata il 16 luglio 1902, data ricordata ogni anno.

QUARTIERI

Belforte, Masnago

Sant'Ambrogio Olona

Registrato agli atti del 1751 come un borgo di 345 abitanti, nel 1786 Sant'Ambrogio entrò per un quinquennio a far parte dell'effimera Provincia di Varese, per poi cambiare continuamente i riferimenti amministrativi nel 1791, nel 1798 e nel 1799. Alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava avere 400 abitanti. Nel 1809 il comune fu soppresso su risultanza di un regio decreto di Napoleone che lo annesse a Velate, ma l'autonomia municipale di Sant'Ambrogio fu poi ripristinata con il ritorno degli austriaci. L'abitato crebbe poi discretamente, tanto che nel 1853 risultò essere popolato da 600 anime, salite a 698 nel 1871. Nel frattempo, dal 1863, il governo aveva cambiato la denominazione del comune in Sant'Ambrogio Olona. Una sensibile crescita demografica nella seconda metà del XIX secolo portò poi ai 1201 residenti del 1921. Fu quindi il fascismo a decidere nel 1927 la nuova e definitiva soppressione del municipio locale, stabilendo l'annessione dell'abitato a Varese.

Bobbiate

L'esistenza di un centro agricolo risale all'epoca preromana. La presenza in epoca imperiale romana è invece confermata da scritti che attestano la scoperta intorno al 1870 di due avelli di pietra contenenti scheletri e monete. In documenti risalenti al Medioevo comincia ad apparire la denominazione Bobiate o Bubiate per indicare la località.

Agli inizi del XIV secolo risalgono le notizie relative ad una piccola chiesa dedicata a San Vittore, successivamente intitolata a San Grato, secondo la tradizione santo taumaturgo e difensore dai fulmini e dalle tempeste, propizio quindi per una società prevalentemente contadina. Tuttavia nel 1574 il cardinale San Carlo Borromeo decreta che Casbeno sia eretta parrocchia e che lì abbia la residenza il parroco. Bobbiate, a causa dell'esigua popolazione, si trova così a dipendere da Casbeno. Agli inizi del XVIII secolo, quando l'abitato aveva 130 residenti, risale l'edificazione da parte dei nobili Martignoni di una residenza estiva, ancora esistente in piazza Bossi e sempre allo stesso periodo la costruzione della villa in località Deserto. Molto precedentemente al congresso di Vienna risalgono le prime notizie del Comune di Bobbiate, che nel 1805 aveva 243 abitanti, e nel 1809 fu soppresso ed aggregato a Varese. Restaurato il comune dagli austriaci, al 1905 risale poi l'edificazione dell'odierno campanile. Nel frattempo la popolazione è cresciuta e così il 3 gennaio 1908 viene istituita la Parrocchia di Bobbiate, indipendente da Casbeno. Nell'agosto dello stesso anno comincia la costruzione dell'oratorio (ricostruito nel 1956 e successivamente ristrutturato nel 2000). Il 27 dicembre 1909 viene inaugurata la tramvia che collegava il paese a Varese. Al 1910 risale invece l'apertura dell'Asilo Infantile su volontà dei signori Macchi Zonda.

Nel 1912 la vecchia chiesa viene ampliata e la facciata ricostruita. A memoria dei caduti della prima guerra mondiale è edificata intorno al 1920 la cappella esistente accanto alla chiesa.

La piazza antistante la chiesa parrocchiale è intitolata all'avvocato e uomo politico Emilio Bossi, massone e anticlericale, pubblico sostenitore della non esistenza storica di Gesù Cristo.

Nel 1927 il comune di Bobbiate viene soppresso ed aggregato a Varese, da poco eretta a capoluogo di provincia.

Da località a carattere prettamente contadino quale era, a partire dagli anni cinquanta e sessanta inizia un processo di urbanizzazione che le fa assumere un profilo più residenziale. Nel 1962 ha inizio l'edificazione della nuova chiesa su progetto dell'architetto Bruno Ravasi. Sarà inaugurata la notte di Natale 1964. Al suo interno pannelli affrescati da Stefano Butera nell'1988 ripercorrono il pontificato di Giovanni Paolo II. All'esterno a destra sulla facciata invece si trova la Madonna del Lago ad opera del pittore Leo Spaventa Filippi.

Bizzozero

L'origine del toponimo attuale va associata alla nobile famiglia Bizzozero, originaria del posto e tenutaria del castello sulla valle del fiume Olona. Per alcuni studiosi (Grammatica e Roccato) l'origine etimologica del termine "Bizzozero" riporta ai Galli Insubri: "Bizzozero, pronunciato in dialetto BYGIOGIAR, può indicare un insieme di baite galliche con annessa una chiesa. Le baite hanno origine circa nel III secolo a.C., dislocate in recinti (by); la igegia (chiesa) è proprio nel centro di questi recinti in terrapieni e nel confluire di tre antichissime strade". Tali asserzioni hanno un fondamento dovuto a scoperte di tipo archeologico; nel 1881, in un campo detto "Opagn" furono trovati i resti di una tomba gallica contenente un vasetto a forma di munera, un'ampolla, un collare, tre braccialetti di bronzo ed altri due di pietra micacea. La preziosità di tali oggetti farebbe supporre che la persona ivi cremata fosse di elevato rango. Lo stanziamento dei galli insubri è stato confermato anche dal successivo ritrovamento in un campo vicino di un'altra tomba in pietra con la presenza di vasi. Nel II secolo a.C., conquistando il territorio varesino, i Romani si insediarono anche a Bizzozero, lasciando successivamente numerose tracce della loro duratura permanenza. In primo luogo vanno ricordate le due lapidi ritrovate nel XVIII secolo dal Sormanni, prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano: di queste la più interessante è quella rinvenuta nei pressi della chiesa di Santo Stefano e che nella traduzione interpretata dal latino recitava: "Tertullo figlio di Censorino coi suoi scioglie il voto al dio Silvano". Particolare rilevanza assume il richiamo al culto del dio delle selve, in quanto confermerebbe storicamente la presenza di un delubro pagano nella zona ove sorge la chiesa di Santo Stefano. Secondo un'antica tradizione la località che circonda la chiesa e l'annesso cimitero prendeva il nome di "Luco", derivante dal verbo latino "lucere", col quale si solevano indicare i fuochi accesi per i sacrifici in onore del dio protettore delle selve. Il sito appartato, boscoso, misterioso, e, nel contempo, posto nelle vicinanze di un fiume, era l'ideale per la localizzazione di un tale culto. Ancora oggi la strada che collega Bizzozero a Schianno si denomina proprio via Piana di Luco. Da ultimo ricordiamo che durante i recenti lavori di restauro in Santo Stefano l'architetto Ravasi ha scoperto e rilevato in pianta, poco distante dalla torre campanaria, una tomba di epoca romana: con un fondo in tegole romane e i fianchi foderati con pietre e mattoni simili, la tomba conteneva due scheletri con le teste appoggiate ai mattoni, nonché due fibbie dell'epoca.

Ulteriore testimonianza della presenza romana è data dallo sviluppo della rete viaria: la strada che da Milano raggiungeva il Passo del Lucomagno e la Rezia, passava attraverso Bizzozero. Questo tipo di strade consolari rappresentava sia un efficace mezzo di difesa e di comunicazione, sia il simbolo evidente dell'unità dell'Impero. In tal modo Bizzozero diventò il passaggio obbligatorio di carovane militari e soldati, oltre che di commercianti, pellegrini, sede di presidio militare con compiti di vigilanza. Risalgono invece al X secolo i primi documenti che riportano il nome di Bizzozero, mentre sono di qualche secolo antecedenti le fondamenta della chiesa di Santo Stefano, ora riconosciuta monumento nazionale. Forse a causa di qualche pestilenza, o più probabilmente per ragioni di sicurezza, l'abitato del paese si spostò a più est, sullo sperone che domina la Valle Olona, nei pressi del castello di Bizzozero, in epoca basso medioevale. Fu qui che sorse una nuova chiesa parrocchiale dedicata ai Santi Evasio e Stefano. La parrocchia autonoma, che comprendeva anche la comunità di Gurone sino al XVIII secolo quando la popolazione era di 380 anime, e che in età napoleonica si allargò fino a ricomprendere Gurone, Schianno, Buguggiate e Gazzada, godette anche di autonomia amministrativa fino al 1927, quando il comune di Bizzozero coi suoi 1537 abitanti fu accorpato al comune di Varese. Il canonico don Luigi Antonetti, parroco dal 1957, scomparso nel 1988, diede vita ad un profondo rinnovamento delle associazioni religiose e di laicato, di accoglienza sociale, di conservazione del patrimonio parrocchiale. Alla sua iniziativa sono dovute,tra l'altro, il completo restauro degli oratori, la decorazione pittorica della chiesa di San Evasio ad opera dei fratelli Monzio Compagnoni, bergamaschi, ultimata nel 1960, il recupero alla fruizione dell'arte e all'esercizio religioso della'antichissima chiesa di Santo Stefano, presso il cimitero.

Biumo Superiore

È considerato il colle nobile della città, già di proprietà dell'arcivescovo di Milano Ariberto da Intimiano, che nel 1036 donò l'intera proprietà alla basilica di S. Vittore di Varese a suffragio della propria anima. La cima del colle è dominata dalla chiesa di S. Giorgio, un edificio risalente al XII secolo, mentre i sottostanti vicoli conducono a numerosi edifici privati, tra i quali spiccano le ville Mozzoni (o "Casa delle Quaranta Colonne"), e Veratti, detta di S. Francesco. Le sue origini risalgono infatti al XIII secolo, allorché il luogo fu scelto da frati francescani per stabilirvi uno dei loro primi monasteri di Lombardia. Particolarmente rilevanti sono inoltre la ville Villa Menafoglio Litta Panza, di proprietà del Fondo Ambiente Italiano, e il complesso delle ville Ponti (comprendente la "Villa Napoleonica", "Villa Andrea Ponti" e le Sellerie).
Biumo Inferiore
Il rione si affaccia sul centro storico con la chiesa di S. Martino, già pertinenza del monastero delle Benedettine, poi demolito con il risanamento del santuario nel XVI secolo. Risalendo verso la chiesa della Madonnina in Prato attraverso via Dandolo, primo passeggio pubblico alberato donato alla città nel 1816 dal conte Vincenzo Dandolo, si giunge nel centro della castellanza. Dell'impianto originario è conservata una vasta zona risalente al Settecento che attualmente accoglie in una sua parte il civico liceo musicale di Varese. A poca distanza sorge palazzo Orrigoni-Litta Modignani (oggi oratorio parrocchiale) edificato durante la seconda metà del Seicento. A suo fianco è presente la novecentesca chiesa dei SS. Pietro e Paolo, a ridosso della quale si apre un'area verde, testimonianza di un ottocentesco giardino privato.
Giubiano
Il rione di Giubiano sorge a meno di un chilometro dal centro cittadino. Si caratterizza per la presenza del complesso ospedaliero inserito in un importante parco, nel XVIII secolo un vasto fondo con villa appartenente ad una delle famiglie più in vista del borgo. L'intera proprietà, già all'epoca legata al vecchio "Ospedale dei Poveri", fu ceduta nel 1885 al celebre tenore Francesco Tamagno, che nell'edificio avviò ampi lavori di ristrutturazione, accompagnati dal rifacimento totale del giardino. Alla sua morte, nel 1905, la figlia Margherita trasferì il complesso nelle mani della Congregazione di Carità, che poi adibì la villa a direzione dell'Ospedale. A ridosso di questo vasto complesso si sviluppa il nucleo della castellanza, modificato da successive trasformazioni urbanistiche, ma rintracciabile attorno all'attuale parrocchia di S. Ambrogio, eretta a inizio Novecento in sostituzione di una precedente antica chiesa del XIII secolo.
Bosto
Sorge su un colle prospiciente da un lato sul centro storico della città, e dall'altro sul bacino del lago. Nel nucleo è presente l'antica chiesa romanica di Sant'Imerio (XI secolo) e almeno due importanti dimore padronali: la "villa S. Pedrino", edificata a partire da fine Seicento per opera della nobile famiglia milanese De Cristoforis, e "villa Visconti-Poggi-Esengrini", nota anche come "villa Montalbano" dal nome del colle sul quale sorge, compreso tra la chiesa di S. Antonio abate alla Motta e piazza Buzzi.
Casbeno
È la castellanza che funge da collegamento tra il centro storico e le zone che digradano verso il lago. Di questo rinomato quartiere è da ricordare l'antico oratorio quattrocentesco della "Schirannetta" e due imponenti edifici, l'ex "Grand Hotel Excelsior" - già villa Recalcati-Morosini e ora sede degli uffici provinciali e della Prefettura - e, al confine con il rione di Masnago, l'imponente complesso alberghiero del "Palace Grand Hotel". Commissionato all'architetto Giuseppe Sommaruga (1867-1917), questo lussuoso albergo d'impronta liberty edificato nei primi anni del Novecento sul colle Campigli, era raggiunto dall'attuale via Silvestro Sanvito da una funicolare distrutta dai bombardamenti alleati del 30 aprile 1944, in realtà diretti sui prospicienti edifici dell'Aeronautica Macchi.

FRAZIONI
Calcinate del Pesce, Schiranna, Cartabbia, Fogliaro, Belforte, Bregazzana, Avigno, Calcinate degli Orrigoni, Montello, Ippodromo, Sangallo, San Fermo, Valle Olona, San Carlo, Sacro Monte, Masnago, Giubiano e Bustecche.

Capolago (in passato Capo di Lago, ma anticamente anche "Summolaco" o "Capitelaco") è una frazione del comune italiano di Varese. Costituì un comune autonomo fino al 1927. Il borgo sorge a circa quattro chilometri di distanza dal centro di Varese, e in passato rivestiva una certa importanza che gli era attribuito da un vecchio monastero dedicato alla SS. Trinità, di cui si ha notizia già nell'XI secolo. Registrato agli atti del 1751 come un borgo di 185 abitanti, nel 1786 Capo di Lago entrò per un quinquennio a far parte dell'effimera Provincia di Varese, per poi cambiare continuamente i riferimenti amministrativi nel 1791, nel 1798 e nel 1799. Alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava avere 226 abitanti. Nel 1809 si registrò la prima esperienza di unione con Varese su risultanza di un regio decreto di Napoleone, ma il Comune di Capolago fu poi ripristinato con il ritorno degli austriaci. L'abitato crebbe poi lentamente, tanto che nel 1853 risultò essere popolato da 338 anime, salite a 442 nel 1871. Dopo una leggera crescita demografica nella seconda metà del XIX secolo, la situazione si stabilizzò fino ai 599 residenti del 1921. Fu quindi il fascismo a riproporre nel 1927 l'antico modello napoleonico, stabilendo la definitiva annessione a Varese.
Bobbiate (Bubiàa in dialetto varesotto) è un rione della città di Varese, comune autonomo fino al 1927. Confina a nord con Masnago, ad est con Casbeno, a sud con Schiranna e a ovest con Lissago.
L'esistenza di un centro agricolo risale all'epoca preromana. La presenza in epoca imperiale romana è invece confermata da scritti che attestano la scoperta intorno al 1870 di due avelli di pietra contenenti scheletri e monete. In documenti risalenti al Medioevo comincia ad apparire la denominazione Bobiate o Bubiate per indicare la località.
Agli inizi del XIV secolo risalgono le notizie relative ad una piccola chiesa dedicata a San Vittore, successivamente intitolata a San Grato, secondo la tradizione santo taumaturgo e difensore dai fulmini e dalle tempeste, propizio quindi per una società prevalentemente contadina. Tuttavia nel 1574 il cardinale San Carlo Borromeo decreta che Casbeno sia eretta parrocchia e che lì abbia la residenza il parroco. Bobbiate, a causa dell'esigua popolazione, si trova così a dipendere da Casbeno. Agli inizi del XVIII secolo, quando l'abitato aveva 130 residenti, risale l'edificazione da parte dei nobili Martignoni di una residenza estiva, ancora esistente in piazza Bossi e sempre allo stesso periodo la costruzione della villa in località Deserto. Molto precedentemente al congresso di Vienna risalgono le prime notizie del Comune di Bobbiate, che nel 1805 aveva 243 abitanti, e nel 1809 fu soppresso ed aggregato a Varese. Restaurato il comune dagli austriaci, al 1905 risale poi l'edificazione dell'odierno campanile. Nel frattempo la popolazione è cresciuta e così il 3 gennaio 1908 viene istituita la Parrocchia di Bobbiate, indipendente da Casbeno. Nell'agosto dello stesso anno comincia la costruzione dell'oratorio (ricostruito nel 1956 e successivamente ristrutturato nel 2000).
Il 27 dicembre 1909 viene inaugurata la tramvia che collegava il paese a Varese. Al 1910 risale invece l'apertura dell'Asilo Infantile su volontà dei signori Macchi Zonda. Nel 1912 la vecchia chiesa viene ampliata e la facciata ricostruita. A memoria dei caduti della prima guerra mondiale è edificata intorno al 1920 la cappella esistente accanto alla chiesa.
La piazza antistante la chiesa parrocchiale è intitolata all'avvocato e uomo politico Emilio Bossi, massone e anticlericale, pubblico sostenitore della non esistenza storica di Gesù Cristo.
Nel 1927 il comune di Bobbiate viene soppresso ed aggregato a Varese, da poco eretta a capoluogo di provincia.
Da località a carattere prettamente contadino quale era, a partire dagli anni cinquanta e sessanta inizia un processo di urbanizzazione che le fa assumere un profilo più residenziale. Nel 1962 ha inizio l'edificazione della nuova chiesa su progetto dell'architetto Bruno Ravasi. Sarà inaugurata la notte di Natale 1964. Al suo interno pannelli affrescati da Stefano Butera nell'1988 ripercorrono il pontificato di Giovanni Paolo II. All'esterno a destra sulla facciata invece si trova la Madonna del Lago ad opera del pittore Leo Spaventa Filippi.
Lissago (Lissàgh in dialetto varesotto) è una frazione di circa 1.000 abitanti situata nella zona inferiore di Varese, raggiungibile attraversando il torrente Luna, dopo Bobbiate provenendo da Casbeno, o dopo Calcinate degli Orrigoni provenendo da Masnago.
Tra gli elementi architettonici di maggior pregio presenti nella frazione spicca la chiesa, rimodernata nella facciata, mosaicata e dedicata a San Carlo - quella absidale - risale al sec. XVII. Ampliata nel 1896, fu consacrata nel 1899. L'altare in marmo presente al suo interno risale al XVIII secolo.
Registrato agli atti del 1751 come un borgo di 125 abitanti, nel 1786 Lissago con Calcinate entrò per un quinquennio a far parte dell'effimera Provincia di Varese, per poi cambiare continuamente i riferimenti amministrativi nel 1791, nel 1798 e nel 1799. Alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava avere 220 abitanti. Nel 1812 si registrò la prima esperienza di unione con Varese, dopo un triennio di comunanza con Masnago, su risultanza di un regio decreto di Napoleone, ma il Comune di Lissago fu poi ripristinato con il ritorno degli austriaci. L'abitato crebbe poi lentamente, tanto che nel 1853 risultò essere popolato da 331 anime, salite a 376 nel 1871. Dopo una leggera crescita demografica nella seconda metà del XIX secolo, la situazione si stabilizzò fino ai 516 residenti del 1921. Fu quindi il fascismo a riproporre nel 1927 l'antico modello napoleonico, stabilendo la definitiva annessione a Varese.
Degno di considerazione è il centro rurale del paese, che riconsegna un'immagine di vita legata alla coltura della terra dissonante da quella operosa ed industriale che si svolge più a monte.
Lissago costituì un comune autonomo fino al 1927, quando venne soppresso e aggregato a Varese.
Sant'Ambrogio Olona A Sant'Ambrogio sorge Villa Toeplitz, considerata una delle più belle ville con parco pubblico della città di Varese. Il complesso prende nome da Giuseppe Toeplitz (1866-1938), banchiere di origini polacche che l'acquistò nel 1914. Già modesta residenza di campagna della famiglia tedesca Hannesen, venne ampliata dal Toeplitz quando nel secondo dopoguerra la moglie Edvige Mrozowska e il figlio Ludovico la vendettero ai fratelli Mocchetti di Legnano. Il complesso con l'elegante parco all'italiana passò al Comune di Varese nel 1972.
Registrato agli atti del 1751 come un borgo di 345 abitanti, nel 1786 Sant'Ambrogio entrò per un quinquennio a far parte dell'effimera Provincia di Varese, per poi cambiare continuamente i riferimenti amministrativi nel 1791, nel 1798 e nel 1799. Alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava avere 400 abitanti. Nel 1809 il comune fu soppresso su risultanza di un regio decreto di Napoleone che lo annesse a Velate, ma l'autonomia municipale di Sant'Ambrogio fu poi ripristinata con il ritorno degli austriaci. L'abitato crebbe poi discretamente, tanto che nel 1853 risultò essere popolato da 600 anime, salite a 698 nel 1871. Nel frattempo, dal 1863, il governo aveva cambiato la denominazione del comune in Sant'Ambrogio Olona. Una sensibile crescita demografica nella seconda metà del XIX secolo portò poi ai 1201 residenti del 1921. Fu quindi il fascismo a decidere nel 1927 la nuova e definitiva soppressione del municipio locale, stabilendo l'annessione dell'abitato a Varese.
Rasa di Varese Adagiato lungo il corso del fiume Olona, che ha la sua sorgente principale pochi chilometri a nord dell'abitato, il centro abitato di Rasa si trova nell'omonima Val di Rasa, che collega l'Alta Valle Olona alla Valcuvia. Il paese ha, ad ovest, le vette dei monti Legnone e Pizzella, appartenenti al massiccio del Campo dei Fiori, e a sud-est quella del Chiusarella. Tutto il territorio della frazione è tutelato dal Parco Regionale Campo dei Fiori.
Velate Registrato agli atti del 1751 come un borgo di 316 abitanti, nel 1786 Velate con Fogliaro entrò per un quinquennio a far parte dell'effimera Provincia di Varese, per poi cambiare continuamente i riferimenti amministrativi nel 1791, nel 1798 e nel 1799. Alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava avere 630 abitanti. Nel 1809 e fino al ritorno degli austriaci il comune si allargò su risultanza di un regio decreto di Napoleone che gli annesse Santa Maria del Monte e Sant'Ambrogio Olona. L'abitato, che dal 1825 fu dotato di un proprio Consiglio comunale, crebbe poi discretamente tanto che nel 1853 risultò essere popolato da 1137 anime, salite a 1247 nel 1871. Una sensibile crescita demografica nella seconda metà del XIX secolo portò poi ai 2450 residenti del 1921. Fu però il fascismo a decidere nel 1927 la soppressione dell'autonomia municipale annettendo l'abitato a Varese, onde dare un adeguato rafforzamento al neocapoluogo provinciale.
Bizzozero (Biggioeugiar in dialetto varesotto, in ortografia unificata "Bigiögiar") è un rione della città di Varese. Antico borgo rurale di origine celtica, fu comune autonomo sino al 1927, quando fu accorpato a Varese in seguito alla elevazione della città bosina a capoluogo dell'omonima provincia.
L'origine del toponimo attuale va associata alla nobile famiglia Bizzozero, originaria del posto e tenutaria del castello sulla valle del fiume Olona. Per alcuni studiosi (Grammatica e Roccato) l'origine etimologica del termine "Bizzozero" riporta ai Galli Insubri: "Bizzozero, pronunciato in dialetto BYGIOGIAR, può indicare un insieme di baite galliche con annessa una chiesa. Le baite hanno origine circa nel III secolo a.C., dislocate in recinti (by); la igegia (chiesa) è proprio nel centro di questi recinti in terrapieni e nel confluire di tre antichissime strade". Tali asserzioni hanno un fondamento dovuto a scoperte di tipo archeologico; nel 1881, in un campo detto "Opagn" furono trovati i resti di una tomba gallica contenente un vasetto a forma di munera, un'ampolla, un collare, tre braccialetti di bronzo ed altri due di pietra micacea. La preziosità di tali oggetti farebbe supporre che la persona ivi cremata fosse di elevato rango. Lo stanziamento dei galli insubri è stato confermato anche dal successivo ritrovamento in un campo vicino di un'altra tomba in pietra con la presenza di vasi.
Nel II secolo a.C., conquistando il territorio varesino, i Romani si insediarono anche a Bizzozero, lasciando successivamente numerose tracce della loro duratura permanenza. In primo luogo vanno ricordate le due lapidi ritrovate nel XVIII secolo dal Sormanni, prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano: di queste la più interessante è quella rinvenuta nei pressi della chiesa di Santo Stefano e che nella traduzione interpretata dal latino recitava: "Tertullo figlio di Censorino coi suoi scioglie il voto al dio Silvano". Particolare rilevanza assume il richiamo al culto del dio delle selve, in quanto confermerebbe storicamente la presenza di un delubro pagano nella zona ove sorge la chiesa di Santo Stefano. Secondo un'antica tradizione la località che circonda la chiesa e l'annesso cimitero prendeva il nome di "Luco", derivante dal verbo latino "lucere", col quale si solevano indicare i fuochi accesi per i sacrifici in onore del dio protettore delle selve. Il sito appartato, boscoso, misterioso, e, nel contempo, posto nelle vicinanze di un fiume, era l'ideale per la localizzazione di un tale culto. Ancora oggi la strada che collega Bizzozero a Schianno si denomina proprio via Piana di Luco. Da ultimo ricordiamo che durante i recenti lavori di restauro in Santo Stefano l'architetto Ravasi ha scoperto e rilevato in pianta, poco distante dalla torre campanaria, una tomba di epoca romana: con un fondo in tegole romane e i fianchi foderati con pietre e mattoni simili, la tomba conteneva due scheletri con le teste appoggiate ai mattoni, nonché due fibbie dell'epoca.
Ulteriore testimonianza della presenza romana è data dallo sviluppo della rete viaria: la strada che da Milano raggiungeva il Passo del Lucomagno e la Rezia, passava attraverso Bizzozero. Questo tipo di strade consolari rappresentava sia un efficace mezzo di difesa e di comunicazione, sia il simbolo evidente dell'unità dell'Impero. In tal modo Bizzozero diventò il passaggio obbligatorio di carovane militari e soldati, oltre che di commercianti, pellegrini, sede di presidio militare con compiti di vigilanza.
Risalgono invece al X secolo i primi documenti che riportano il nome di Bizzozero, mentre sono di qualche secolo antecedenti le fondamenta della chiesa di Santo Stefano, ora riconosciuta monumento nazionale. Forse a causa di qualche pestilenza, o più probabilmente per ragioni di sicurezza, l'abitato del paese si spostò a più est, sullo sperone che domina la Valle Olona, nei pressi del castello di Bizzozero, in epoca basso medioevale. Fu qui che sorse una nuova chiesa parrocchiale dedicata ai Santi Evasio e Stefano. La parrocchia autonoma, che comprendeva anche la comunità di Gurone sino al XVIII secolo quando la popolazione era di 380 anime, e che in età napoleonica si allargò fino a ricomprendere Gurone, Schianno, Buguggiate e Gazzada, godette anche di autonomia amministrativa fino al 1927, quando il comune di Bizzozero coi suoi 1537 abitanti fu accorpato al comune di Varese[1]. Il canonico don Luigi Antonetti, parroco dal 1957, scomparso nel 1988, diede vita ad un profondo rinnovamento delle associazioni religiose e di laicato, di accoglienza sociale, di conservazione del patrimonio parrocchiale. Alla sua iniziativa sono dovute,tra l'altro, il completo restauro degli oratori, la decorazione pittorica della chiesa di San Evasio ad opera dei fratelli Monzio Compagnoni, bergamaschi, ultimata nel 1960, il recupero alla fruizione dell'arte e all'esercizio religioso della'antichissima chiesa di Santo Stefano, presso il cimitero.

STORIA
Il documento più antico che riporta il nome di Varese è una pergamena datata 8 giugno 922 conservata presso l'Archivio di Stato di Milano.
Il toponimo Varese sembra derivare dal celtico Vara (acqua), connesso alla vicinanza dell'omonimo lago. E il nome sarebbe venuto al luogo, non tanto per la presenza del torrente Vellone, ma dall'essere un tempo il fondovalle, dove sorge il borgo, acquitrinoso per le acque defluenti dai colli circostanti. Una volta la falda si trovava infatti pochi metri sotto il suolo, e in tempo di piogge insistenti le cantine si riempivano d'acqua e nelle piazze, anche per il terreno argilloso, le pozzanghere stagnavano a lungo.
È ipotizzata anche la derivazione dai nomi gentilizi romani Varia, Varius, nonché dal pretore Publio Quintilio Varo. Non è esclusa neppure l'origine da Vallexitum o Vallesium da cui Varisium per la mutazione della l in r comune da lontani tempi nella parlata della zona (se ne hanno tracce dal XII secolo) e ciò per essere la località allo sbocco delle valli. La vicinanza dei numerosi boschi fa propendere anche per il termine virens, equivalente appunto a verdeggiante.
Le prime tracce di un insediamento abitativo ritrovate sul territorio risalgono alla preistoria, infatti i numerosi reperti esposti nel museo di Villa Mirabello e i ritrovamenti di insediamenti palafitticoli sull'isolino Virginia dimostrano che il territorio era abitato già nel 3000 a.C..
Su questo isolotto al largo di Biandronno nel 1863 l'abate Stoppani con due archeologi svizzeri rinvennero infatti dei resti palafitticoli. Successive ricerche portarono al ritrovamento sul lago di un'altra decina di insediamenti sparsi tra gli attuali comuni di Bardello, Cazzago Brabbia e Bodio Lomnago, datati tra il neolitico inferiore e la prima età del ferro.
Tuttavia non si hanno notizie precise del borgo fino allo sviluppo della cultura di Golasecca, estesa a tutta l'area lombarda-piemontese, e la cui evoluzione sarebbe continuata ben oltre la fondazione dell'Impero Romano.[senza fonte] Le importanti vie di comunicazione utilizzate soprattutto da mercanti e militari che collegavano Milano con l'attuale Svizzera attraverso la Valganna, Ponte Tresa e il Canton Ticino, avrebbero presto accentuato l'importanza di Varese come luogo di transito.
Da Varisium, nome romano di Varese, passava la via Mediolanum-Bilitio, che metteva in comunicazione Mediolanum (Milano) con Luganum (Lugano).
La presenza di edifici come la Torre degli Ariani presso il Sacro Monte oppure la chiesa di San Cassiano e Ippolito presso Velate testimoniano la vitalità socio-economica della plaga varesina già in epoca tardo romana. Indagini archeologiche condotte a cavallo tra XX e XXI secolo nella cripta del Santuario del Sacro Monte hanno confermato la presenza di un primo insediamento paleocristiano in tale area.
Nell'Alto Medioevo Varese partecipò alle vicende storiche del Seprio e alle lotte intestine tra Como e Milano, i cui rapporti risalivano al 1045 con l'elezione ad arcivescovo del varesino Guido da Velate e all'alleanza che avrebbe determinato la sconfitta di Federico Barbarossa nel 1176. Con al caduta di Castelseprio nel 1287 e l'ascesa dei Visconti il legame di Varese con Milano diventò ancora più stretto e duraturo. Investita nell'XI secolo dalla costruzione di numerosi presìdi difensivi - ancora oggi in parte esistenti - destinati a controllare l'accesso in Pianura Padana da settentrione, nel corso del Trecento Varese si dotò dei primi statuti che avrebbero regolato la vita cittadina, fondata su una sostanziale e privilegiata autonomia di governo che durò, tranne rare eccezioni, fino alla seconda metà del Settecento. Dopo i disordini scoppiati con la morte di Gian Galeazzo Visconti, nel 1407 il condottiero Facino Cane, conte di Biandrate si proclamò signore di Varese, usurpando quei privilegi che sarebbero stati restituiti al borgo tre anni dopo da Giovanni Maria Visconti. Il successivo periodo sforzesco assicurò a Varese un certo sviluppo economico, con il potenziamento del locale mercato, scelto come sede di un'importante fiera per la vendita di cavalli provenienti da oltralpe. Con la successiva invasione di mercenari svizzeri, l'inizio della dominazione spagnola e lo scoppio di numerose epidemie, la località scivolò in un'epoca di decadenza, da cui si sarebbe ripresa solo con il passaggio al nuovo secolo.
L'avvento di Carlo Borromeo ad arcivescovo di Milano segnò per Varese un'importante stagione di rinnovamento politico e culturale. La sua visita nel 1567 contribuì infatti a modificarne l'istituzione ecclesiastica, dando nuovo vigore al monastero di Santa Maria del Monte, che da lì a poco avrebbe visto aprirsi una delle più importanti imprese artistiche della Lombardia. La fabbrica, che prevedeva la realizzazione di una via Sacra per raggiungere il santuario, ebbe inizio quando Padre Giovanni Battista Aguggiari riuscì a raccogliere la somma di 1 milione di lire imperiali, coinvolgendo anche alcune nobili famiglie milanesi. In precedenza l'unico accesso al Santuario seguiva l'impervio sentiero che ancor oggi collega il rione di Velate al Sacro Monte e al Campo dei Fiori, passando da un luogo, il Monte San Francesco in Pertica, che per secoli aveva ospitato una torre di avvistamento romana prima e una delle più antiche comunità francescane poi. Fu probabilmente il Borromeo a decretare il definitivo declino del luogo e il drastico cambiamento di rotta a favore di una comunità monastica femminile legata alle più importanti famiglie nobiliari dell'epoca. La realizzazione dell'opera, iniziata nel 1604 e conclusa nella forma attuale nel 1698, vide la partecipazione di celebri artisti quali il Morazzone e il Cerano sotto la direzione iniziale dell'architetto Giuseppe Bernascone. L'impresa, che trasformò Varese in un autentico baluardo del cattolicesimo contro la minaccia protestante, venne condotta attraverso le crisi epidemiche d'inizio Seicento, la più grave delle quali - registrata nel 1628 - procurò forti carestie e numerosi decessi per peste. Nella seconda metà del secolo la situazione politica si stabilizzò e, nel Settecento, furono anche fissati i confini con la Svizzera (Congresso di Varese, 1752), che anticiparono la riforma dell'amministrazione comunale appena cinque anni dopo quando, abolite tutte le frazioni, il governo municipale fu affidato in forma oligarchica al convocato generale di tutti i benestanti con più di 3000 lire di patrimonio, che eleggeva una propria deputazione permanente e una giunta di reggenza, oltre a varie magistrature specifiche quali il cancelliere, il sindaco e il bidello, il tutto sottoposto all'autorità suprema del podestà di nomina regia. Nel 1765 Maria Teresa concesse Varese in feudo personale a Francesco III d'Este, Duca di Modena e Signore di Varese. Fu quello un periodo particolarmente felice e prospero, anche dal punto di vista culturale. Sorsero nuovi conventi, alcuni grandiosi come quello dei Cappuccini e dei Carmelitani Scalzi, delle Monache di Sant'Antonino; nuove confraternite costituirono i loro oratori e maturò quel "periodo d'oro" della villeggiatura varesina, sviluppatosi soprattutto nell'Ottocento e fino alla prima guerra mondiale. Salito al trono l'Imperatore Giuseppe II, Varese divenne residenza di un Intendente e designata capoluogo di una delle sei province in cui era stata suddivisa la Lombardia nel 1786: con l'elevazione del borgo a capoluogo dell'omonima provincia il territorio comprendeva anche il circondario di Gallarate. Nel 1797 la città divenne capoluogo dell'effimero dipartimento del Verbano, per poi essere inclusa nel dipartimento d'Olona e nel 1801 ridotta a Viceprefettura del dipartimento del Lario con capoluogo Como. Il governo di Napoleone decretò la prima espansione del territorio comunale, deliberando nel 1809 l'annessione di Bobbiate e Capolago, e nel 1812 quelle di Lissago, Masnago e Induno.
Tramontata la potenza napoleonica e ripristinato l'Ancien régime dopo gli sconvolgimenti francesi, nel 1816 il ridimensionato borgo fu elevato al rango di città - con le sue prerogative politiche e amministrative, compresa l'elezione del primo Consiglio comunale - dall'imperatore Francesco I d'Austria, che ne confermò tuttavia l'appartenenza alla Provincia di Como, nuovo nome del previgente dipartimento del Lario.
Prima della definitiva cacciata degli Austriaci con la vittoriosa battaglia di Magenta del 4 giugno 1859, Varese visse il suo momento di gloria il 26 maggio 1859, in cui Garibaldi e i garibaldini prevalsero sulle truppe del generale Karl von Urban. L'Unità nazionale costituì per la città il trampolino di lancio del suo sviluppo economico e sociale che, protrattosi fino alla prima guerra mondiale, avrebbe investito l'industria cartiera, conciaria, calzaturiera, meccanica ed aeronautica. Una tale diffusa crescita determinò non solo un notevole benessere tra la popolazione, ma anche un ordinato sviluppo urbanistico, che valse a Varese il titolo di città giardino. La realizzazione di almeno un centinaio di grandi ville con parco, cui si aggiunsero lussuosi alberghi in stile liberty - progettati tra gli altri dall'architetto milanese Giuseppe Sommaruga - accentuarono l'interesse turistico di Varese nei primi anni del Novecento.
Con l'avvento al governo d'Italia del partito fascista, nel 1927 Mussolini elevò Varese a capoluogo del nuovo ente provinciale, scindendo così il legame con la città di Como. Poco dopo il territorio comunale venne ampliato con l'aggregazione dei comuni limitrofi di Bizzozero, Bobbiate, Capolago, Induno Olona, Lissago, Masnago, Sant'Ambrogio Olona, Santa Maria del Monte e Velate
Varese e il suo territorio furono oggetto di importanti e significative azioni partigiane, in particolare negli anni della Repubblica Sociale Italiana, allorché la città e il suo territorio caddero in mano alle rinate truppe nazifasciste. La fallita, ma pur importante azione partigiana del gruppo "Regio Esercito Italiano-Gruppo 5 giornate" del colonnello dei bersaglieri Carlo Croce, segnò l'inizio di una rapida quanto brutale repressione contro antifascisti, disertori ed ebrei. Questi ultimi, affluendo dai principali centri d'Italia, diretti in Svizzera - quando non catturati in territorio italiano o vittime di ingiustificati respingimenti - beneficiarono talvolta di aiuti dalle popolazioni locali. Un ruolo decisivo per la loro salvezza lo giocò a Varese Calogero Marrone, capo ufficio anagrafe del comune, oggi giusto fra le nazioni che, mettendo a rischio la propria vita, falsificò decine di documenti, permettendo così una più agevole via di fuga per molti di loro.
Al termine della Seconda guerra mondiale la città e il suo territorio, dal quale nel 1950 fu staccato Induno Olona, andarono progressivamente espandendosi, sulla spinta di quello sviluppo economico-sociale che, causa di importanti e controverse trasformazioni urbanistiche già negli anni trenta - come la creazione della centrale Piazza Monte Grappa su progetto di Vittorio Ballio Morpurgo - determinò una forte crescita industriale accompagnata da un parallelo incremento demografico.

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