La località “Olmo” (la romama “Ulmus”) antepose il nome San Pietro dopo che nei pressi, sulle rovine di una ricca “domus”, vi era stata edificata una chiesa dedicata al principe degli apostoli.
Se il toponimo “Olmo” deriva dal fatto che il luogo vi fossero molti olmi, Cornaredo fa derivare il proprio dalla numerosa presenza di arbusti di “corniolo”.
Cornaredo: un grosso centro della Lombardia che, prima dell´urbanizzazione degli ultimi decenni era abitato da due comunità ben distinte: il capoluogo Cornaredo e la frazione di San Pietro all´Olmo contornate, in ordine sparso, da una mezza dozzina di cascine.
La storia delle due comunità è differente sia dal punto di vista territoriale (campi più fertili per la presenza di “risorgive” a San Pietro, mentre il circondario di Cornaredo era ghiaioso ed asciutto) che di quello sociale (la presenza di una comunità di canonici Agostiniani a San Pietro favoriva la tranquillità e l´acculturamento dei suoi abitanti, mentre a Cornaredo si era perennemente immischiati in odiose questioni suscitate dai vari signorotti che si contendevano il predominio locale).
L´esistenza di Cornaredo è certa da prima dell´894 d.C., data di una pergamena in cui si cita per la prima volta la località “Cornalede”.
L´antica chiesa di Cornaredo, dedicata a S. Ambrogio, era già elevata al rango di parrocchiale nel XIII mentre il tempio della frazione, dedicato a San Pietro, dal XII serviva come edificio di culto ad una comunità di Canonici Regolari di S. Agostino, ottimi predicatori ed eccellenti insegnanti, rimasti a San Pietro all´Olmo fino alla fine del XV secolo. Inutile dire che il cenobio agostiniano era l´unico proprietario dei pochi edifici che costituivano la località Olmo ai quali si aggiungevano terreni per 11.000 pertiche, parte in territorio di Cornaredo ed in massima parte in quello di Bareggio.
In questo frangente temporale (XIII – XIV secolo) Cornaredo vide l´alternarsi dei suoi proprietari “laici” appartenenti a famiglie coinvolte per la supremazia di Milano.
Torriani e Visconti (del cosiddetto “ramo di Cornaredo”) si confiscavano a vicenda (malexardia) le terre cornaredesi, seguendo pari pari le alterne fortune delle due casate nelle vicende ben più ampie della Signoria di Milano.
Si hanno esempi emblematici della cacciata dal territorio cornaredese di famiglie altolocate che parteggiavano per i Torriani e non per i Visconti.
Capitò agli Zavattari di vedersi intimare di non mettere mai più piede a Cornaredo (ire nec stare nec morari), pena una multa di 200 lire terzole. Al contrario una casata filo-viscontea, i Balbi, ebbe maggior fortuna su tutto il territorio comunale.
A Cornaredo erano titolari di un beneficio, sotto il titolo di S. Apollinare, istituito nella loro chiesetta privata di Santa Maria (XII secolo) e proprietari di un edificio “da Nobile” nei pressi della Piazza.
A San Pietro possedevano, già dal XIII secolo,un molino di “due rodiggi”. Non lontano da questo, nel territorio detto delle Favaglie (ossia risorgive), nel Quattrocentoavevano edificato per sè una “domus Magna”.
Poco distante, nei pressi del “pasquè”, possedevano un “palatio” il quale, dal XVI secolo, diventò sede della “Posta”, stazione di cambio dei cavalli.
La “strada postale” altro non è che l´antica “strata Novariensis” dei Romani che, principiando a Milano da Porta Vercellina, collegava Novara, Vercelli, Ivrea (Eporedia), Aosta e da lì raggiungeva i valichi alpini del Piccolo e del Gran San Bernardo.
Da parte loro i Visconti possedettero il “castello” di Cornaredo con tanto di “fossatum magnum”.
Non era certo una residenza signorile, paragonabile ai più famosi castelli dell´epoca, ma serviva per un rifugio temporaneo dei Cornaredesi durante le scorrerie devastanti degli “Ungheri”, bande di barbari che nel IX secolo portarono scompiglio nell´intera pianura padana. Il “castello” fu posseduto nel Trecento anche da Luchino Visconti, Signore di Milano, il cui figlio, Luchino Novello, avutolo in eredità, nel 1399 lo donò, con i terreni annessi, alla Certosa di Garegnano al fine di contribuire a terminare i lavori di costruzione del monastero milanese.
Frattanto, sulla scena cornaredese si affacciavano i Dugnani i quali, alla chetichella, acquistavano terreni in continuazione tanto che, nel Cinquecento, risultavano essere i maggiori proprietari con circa 4.000 pertiche, superando la canonica di San Pietro, seconda con 3.400 pertiche.
Per un paio di secoli i Dugnani furono gli antagonisti dei Serbelloni, altra famiglia notabile milanese, inseritasi nelle vicende storiche cornaredesi a seguito del matrimonio contratto tra Gio Batta Serbelloni ed Ottavia Balbi.
Memorabili (ed infantili) sono gli “scherzi” che, reciprocamente, si facevano i contadini alle dipendenze delle due casate.
I coloni “serbellonesi” aravano i sentieri di accesso ai terreni Dugnani ed i coloni “dugnanesi”, nottetempo, li “borlonavano” (pressavano) per ripristinarne l´agibilità. Per contro, la fazione dugnana scavava trincee di traverso nelle strade di accesso ai beni Serbelloni che, prontamente (sempre nottetempo!), la fazione serbellona provvedeva a colmare di terra.
Il più eclatante e pericoloso fatto di cronaca avvenne nel 1672. Gerolamo Dugnani nel 1647 “acquistò” il feudo di Cornaredo che gli scialacquatori governanti spagnoli, allora reggenti le sorti del Ducato di Milano, avevano messo in vendita. Con il titolo fasullo di Conte, il Dugnani aveva automaticamente acquisito anche il diritto di amministrare la giustizia sul territorio cornaredese (adattando, per gli eventuali malfattori catturati, un locale del suo palazzo ad uso di prigione). Per espletare tale funzione aveva assoldato un paio di “bravi” di manzoniana memoria, uno dei quali, un atle Ambrogio “che porta in testa si covassi (capelli a treccia)”, una sera sparò una “archibuggiata” ad un contadino del Conte Serbelloni. Fortunatamente il “bravo Ambrogio” non era dotato di buona mira: mancò il bersaglio e i “ballini” sparati con l´archibugio ferirono lievemente il bue che stava vicino al contadino.
Gli “scherzi” terminarono soltanto nel 1740 per l´intervento di Maria Teresa d´Austria, la quale incaricò il “Magnifico Marchese Senatore don Antonio Recalcati” di mediare tra le parti in causa, riuscendo così a ristabilire “una placidissima tranquillità ed una vicendevole amicizia”.
Sicuramente le vicissitudini cornaredesi non intralciavano nè oscuravano la carriera militare dei componenti maschili della famiglia Serbelloni (avevano quasi tutti questa vocazione nel sangue!).
Protagonisti infatti di molte battaglie sul continente europeo, non mancarono di distinguersi anche nella famosa battaglia navale di Lepanto del 1571, in cui il Gran Gabrio Serbelloni si meritò la qualifica di “trionfatore di Selim II”.
Nel frattempo a San Pietro all´Olmo era successo che la canonica agostiniana, alla fine del Quattrocento, aveva chiuso i battenti. La crisi vocazionale, che in quel tempo aveva investito l´ordine, non risparmiò il cenobio sampietrino, il quale si trovò praticamente senza canonici. La Santa Sede decise così di trasformare la prepositura agostiniana in “Abbazia commendata”, il cui Abate non era un capo spirituale di una comunità religiosa, bensì un alto prelato designato ad usufruire delle rendite che le case ed i terreni della ex prepositura producevano. Per circa tre secoli i Sampietrini assistettero all´andirivieni di numerosi agenti e procuratori di “cardinali commendatari” (dodici) fino a quando Giuseppe II, nel 1788, pose fine alla “girandola” confiscando tutte le proprietà dell´Abbazia commendata. Dopo sette secoli di “predominio” religioso San Pietro all´Olmo fu venduta ai privati.
Sulla scena sampietrina si affacciarono così i Villa, famiglia facoltosa originaria di Desio, che nel 1794 si aggiudicò l´Asta pubblica.
All´inizio dell´Ottocento un´altra famiglia di emergenti imprenditori, i Gavazzi, installarono il primo “opificio” ad uso di filanda serica. Dopo una stasi, durata secoli, nella prima metà dell´Ottocento si realizzò un massiccio intervento edilizio che nel giro di pochi decenni rinnovò le fatiscenti abitazioni medioevali e ne costruì di nuove per l´aumento della popolazione che si stava registrando.
I Villa ed i Gavazzi usciranno dalla scena sampietrina sul finire dell´Ottocento non senza aver lasciato un´impronta di sè che, sicuramente, è destinata a durare ancora parecchio nel tempo a venire.
Mentre San Pietro all´Olmo, all´inizio dell´Ottocento, si apprestava a “voltare pagina” a Cornaredo si registrava ancora la cronica situazione delle contese tra i Serbelloni ed i Dugnani, questi ultimi antagonisti un po´ spenti per le difficoltà economiche in cui si dibattevano e per aver perso il titolo nobiliare dopo la venuta in Italia di Napoleone.
Per “rinnovarsi” Cornaredo dovrà attendere l´arrivo di Andrea Ponti, industriale cotoniero del gallaratese. Il Ponti si inserì, suo malgrado, nelle vicende cornaredesi nel modo in cui andiamo ad illustrare.
Nel 1861 Giuseppe, ultimo discendente maschio dei Serbelloni (che nel frattempo avevano acquisito anche il cognome Sfondrati) aveva stipulato con il Ponti un mutuo di un milione di lire. Alla sua morte (1866) la moglie, contessa Maria Crivelli, unica erede, non avendo denaro liquido per risarcire il Ponti, si accordò con lo stesso facendogli accettare, come controvalore, una pari quantità di case e terreni che il marito le aveva lasciato.
Da un giorno all´altro il Ponti si trovò perciò proprietario di quasi la metà del territorio comunale.
Oltre che nel tessile il Ponti profuse molte energie in campo agricolo e sociale. Introdusse metodi innovativi per quel tempo (fertilizzanti chimici e macchinari) con l´intento di alleviare le fatiche degli agricoltori. Volle anche che i suoi contadini avessero case più comode e igieniche. Attivò scuole ed asili nido. Molte di queste opere furono attuate anche a Cornaredo tanto che alla sua morte (1888) il Consiglio Comunale gli dedicò una seduta straordinaria per elogiarne la figura di grande benefattore.
Subentrato al padre, Ettore Ponti proseguì nella linea degli interventi paterni nel sociale, fondando a Cornaredo la “Famiglia Agricola”, associazione distinta in più sezioni con molteplici finalità: cooperativa di consumo, mutuo soccorso, forno sociale, latteria sociale, assicurazione mutua contro la mortalità del bestiame ed altro ancora. Non disdegnò neppure di occuparsi di politica, ottenendo lusinghieri successi: dapprima deputato al Parlamento, dal 1905 al 1909 ricoprì la carica di Sindaco Milano. Morì improvvisamente nel 1919. La moglie, Remigia dei Baroni Spilateri, non intenzionata a proseguire nell´opera del marito defunto, lasciò ai contadini cornaredesi il diritto di prelazione delle case in cui abitavano e delle terre che lavoravano. In pochi anni a Cornaredo sparì la grande proprietà fondiaria, sostituita da una miriade di piccoli proprietari.
San Pietro all´Olmo non fu trascurata dai Ponti: a loro si deve il primo edificio scolastico elementare, il lavatoio pubblico sul fontanile “Gagliardo” e la “spinta” per l´apertura dell´ufficio postale nel 1901,servizio che da alcuni decenni non si effettuava poichè la “posta cavalli” era stata sostituita dai “cavalli vapore” del cosiddetto “gamba di legno”, tramway entrato in funzione sulla linea Milano-Magenta-Castano nel 1879 (era un po´ lento: massima velocità 15 Km/ora) e dismesso nel 1957.
Nei secoli scorsi l´allevamento del baso da seta assicurava una quota significativa nel pur scarno reddito del contadino. Nell´Ottocento generazioni di fanciulle e di donne si alternavano davanti alle “bacinelle” delle filande di San Pietro e Cornaredo. L´innovazione tecnologica e la scoperta di fibre artificiali nei primi decenni del Novecento decretarono la fine di quel mondo e nel contempo della seta stessa. Ricerca e sperimentazione avevano creato posti di lavoro per nuove attività nelle industrie: per i figli dei contadini dei nostri paesi la meta agognata divenne “fare il meccanico”. E meccanica fu, a tal punto che assorbì quasi tutta la manodopera disponibile, spopolando le campagne. Dopo la seconda guerra mondiale si è aperta una nuova era, forse migliore delle precedenti o forse no: il futuro sarà giudice.
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Chiesa parrocchiale di Cornaredo
La chiesa parrocchiale principale del paese, è dedicata ai santi apostoli Giacomo e Filippo. La fondazione della chiesa risale probabilmente all'epoca medioevale, dal momento che già risulta elencata nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolanensis di Goffredo da Bussero come sottoposta alla Pieve di Nerviano, passando però nel 1602 a quella di Rho.
Ulteriori informazioni sulla struttura ci pervengono da una visita pastorale del cardinale Giuseppe Pozzobonelli del 1755, il quale ricorda che presso la medesima chiesa avevano sede addirittura tre diverse confraternite, una dedicata al Santissimo Sacramento, una al Santissimo Rosario e l'altra alla Santa Croce. Il numero dei parrocchiani (e quindi degli abitanti del paese) era all'epoca di circa 1400. Sempre nella medesima relazione, si fa menzione dei beni della chiesa che ammontano a 242,15 pertiche.
La chiesa venne completamente ricostruita alla metà dell'Ottocento, ed è rimasta immutata nel corso del tempo nelle forme che ancora oggi si possono ammirare: la facciata è distinta da un piccolo colonnato, con un timpano sopraelevato ed elegante, sormontato da due statue di angeli.
Il campanile della chiesa possiede 5 campane, fuse dalla fonderia Barigozzi di Milano nel 1901. I bronzi sono montati nel classico sistema ambrosiano di suono delle campane e sono intonati in Si2 Maggiore.
Chiesa di Sant'Apollinare
Costruita in epoca medioevale (XI secolo), la piccola chiesa di Sant'Apollinare si trova nella piazza principale del paese, di fronte alla chiesa parrocchiale dei Santi Giacomo e Filippo. La struttura, semplice ed a capanna, si presenta con mattoni a vista e finestre bifore rifinite in cotto.
L'interno della chiesa presenta uno stile semplice, proprio del romanico. Le pareti della chiesa alternano delle antiche raffigurazioni di santi, risalenti al 1300 ed ascrivibili alla famiglia Zavattari, al muro bianco, che con tutta probabilità è stato dipinto in anni recenti, coprendo il resto degli affreschi che adornano questa chiesa.
La chiesa è sempre stata oggetto di dispute, la prima delle quali riguarda il suo nome e la sua dedicazione, poiché gli arcivescovi in visita la chiamavano Oratorio dell'Immacolata, mentre sin dai tempi antichi quando la chiesa era un beneficio legato alla basilica di Sant'Ambrogio a Milano, era presente una statua di Sant'Apollinare che aveva dato il nome alla chiesa. Da cronache ancora più antiche, risulta che in paese vi fosse un oratorio dedicato a Santa Maria, di fronte alla vecchia parrocchiale di Sant'Ambrogio. Fatto sta che all'interno della chiesa, effettivamente, sono presenti sia le statue di Sant'Apollinare, sia la statua della Madonna di Lourdes, per la quale si è costruita una piccola grotta all'interno della struttura romanica.
Sulla lunetta al di sopra della porta d'ingresso, vi sono due rappresentazioni delle vecchie chiese parrocchiali di Cornaredo. L'abbazia di San Pietro si presenta in forme tale e quali a quelle attuali, mentre è interessante osservare come l'antica parrocchiale demolita nel corso del 1800, presentasse un elegante campanile cilindrico, molto simile alla Ciribiciaccola dell'abbazia di Chiaravalle.
Il campanile a vela, possiede una campana fusa dal maestro Antonio Busca e datata 1559.
Chiesa di Santa Croce
La struttura della chiesa è molto semplice ad una navata. Essa è il nucleo centrale della frazione di Cascina Croce, i cui abitanti vollero a tutti i costi avere una loro chiesa. Perciò, nel 1933, ultimarono la loro "bella chiesina" che venne ufficialmente benedetta e aperta al culto un anno dopo, nel 1934.
Inizialmente la chiesa possedeva una sola campana di provenienza ignota, fusa nel 1605. Sul finire degli anni sessanta si optò per aggiungerne un'altra alla torre campanaria.
Cappella della Beata Vergine Immacolata
Chiesa parrocchiale di San Pietro
Chiesa abbaziale di San Pietro all'Olmo
Chiesa di San Rocco
Villa Gavazzi Balossi Restelli
Villa Busca Dubini
Villa Balossi
Palazzo Dugnani
Palazzo Municipale
Ex Casa Parrocchiale
Magazzini Serbelloni
Palazzo della Filanda
FRAZIONI
San Pietro all'Olmo
Il borgo di San Pietro all'Olmo ha origini piuttosto antiche: esso venne fondato in epoca celtica (attorno al VII secolo a.C.) e successivamente venne conquistato dai Romani i quali lo addossarono alla neonata Strada Consolare Vercellina (ex SS11) che collegava Milano con Vercelli passando per città importanti per l'epoca quali Corbetta, Magenta e Novara.
Gli edifici religiosi, di origine antichissima, sono infatti gli elementi che nella maggior parte dei casi hanno consentito una quasi totale ricostruzione della frazione. Nelle fondamenta della chiesa parrocchiale di San Pietro sono infatti stati trovati dei resti di una precedente cappella longobarda, adagiata su una domus romana (in corso di datazione) il che fa pensare che il luogo venne abitato da queste popolazioni, che vi risiedevano stabilmente, il che spiegherebbe anche il nome di San Pietro, molto devoto presso quei popoli, che avrebbe dato anche il nome alla frazione stessa.
Quanto all'olmo, si può supporre che l'area fosse particolarmente ricca di fontanili, i cui argini si era soliti rinforzare con olmi.
Nel 1170, papa Urbano III Crivelli, che aveva terreni in queste zone, diede ordine di costruirvi un monastero che, divenendo abbazia, scandirà la maggior parte della storia della frazione sino al 1794, anno in cui la struttura religiosa venne definitivamente soppressa.
Da questo momento si può dire che la frazione di San Pietro all'Olmo condivise la propria storia con quella della vicina Cornaredo.