CASSINA DE' PECCHI (Mi)

Cassina de' Pecchi ha ricevuto il riconoscimento di "Città sostenibile delle bambine e dei bambini" nel 1999, relativamente ai comuni con popolazione inferiore a 50 000 abitanti.

L'odierno assetto territoriale risale all'Ottocento, quando a questo abitato, anticamente chiamato Villa Franca e che assunse il nome attuale quando nel Trecento divenne proprietà dei conti Pecchi, vennero uniti gli allora autonomi comuni di Camporicco, nel 1841, e di Sant'Agata, nel 1870. La sua storia è, pertanto, il sunto delle vicende che nel corso dei secoli hanno interessato tutti e tre questi nuclei, spesso in contesa fra di loro perché desiderosi di mantenere la propria autonomia: particolarmente accese furono le controversie concernenti l'ambito della giurisdizione ecclesiastica, poiché fino alla metà del Cinquecento le tre comunità non erano costituite in parrocchie autonome. Seguendo gli avvenimenti storici del milanese, fino al termine del XVII secolo esse furono sottoposte alle stesse nobili famiglie, quelle dei Marliani Visconti, dei Trivulzio, degli Stampa e dei De Leyva, tornando nuovamente ai Trivulzio, che ne conservarono il possesso dal 1531 al 1679. Poco dopo, mentre Cassina de' Pecchi e Camporicco vennero infeudate al duca Gabrio Serbelloni, Sant'Agata fu assegna ta al conte Francesco Corio, cui subentrarono, nella prima metà del Settecento, i marchesi Terzi di Bergamo. Tra le testimonianze storico-artistiche spiccano la chiesa di Sant'Agata, edificata nel Cinquecento sull'omonimo edificio medievale, e l'oratorio dell'Assunta, risalente al XVI secolo ma che oggi versa in stato di abbandono.

Frazioni

Colombirolo, Villa Magri, Villa Pompea e Villa Quiete, quartiere Aurelia

Camporiccio

Registrato agli atti del 1751 come comune autonomo in forma di villaggio rurale nel milanese, esso aveva 210 abitanti, mentre alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 Camporicco risultava avere 172 residenti. Nel 1809 un regio decreto di Napoleone determinò la soppressione dell'autonomia municipale per annessione a Cassina de' Pecchi, a sua volta poi aggregata a Cernusco nel 1811, ma il Comune di Camporicco fu poi ripristinato con il ritorno degli austriaci nel 1816. Furono però poi proprio i governanti viennesi a tornare sui loro passi, decretando nel 1841 la perpetua unione fra Camporicco e Cassina de' Pecchi.

Svariate e diverse sono le ipotesi sull'origine del nome di Camporicco. Una tra le più remote è riportata nel volume "Storia dei Comuni d'Italia" del 1934 e dice: "...pare che il nome del villaggio derivi da Campus Henrici, in base ad una carta dell'11 novembre 879, che contiene il testamento del grande arcivescovo Ansperto, nel quale questa località viene appunto definita Campus Henrici..." Altra versione è quella che dà il nome ai proprietari del fondo, in ciò confortati dal parere autorevole di un erudito studioso di storia del Contado della Martesana, monsignor Luigi Ghezzi, che nel suo volume Cisnusculum del 1911 scrive in proposito "...merita pure menzione il Campo dei Corii o dei Coiri, ora Camporicco, già appartenente a Cernusco sia per parrocchia che per comune. Da Corium, voce latina, deriva questa antichissima e nobile famiglia e da tale famiglia viene il nome a Camporicco, Campus de Coyris o Coyricus".

Molto più poetica che attendibile risulta l'attribuzione del nome di Camporicco fatta risalire dalla credenza popolare ad una ricca vena aurifera scoperta anticamente nei paraggi della Cascina Malpaga: "Camporicco probabilmente venne così denominata per una vena d'oro scoperta nel territorio". Con queste parole il parroco Carlo Maria Oggioni, nativo di Sant'Agata, iniziava, nei primi dell'Ottocento, una breve cronistoria della parrocchia. Egli si riferisce alla testimonianza del padre cappuccino Carlo Fedele Varisco, di Melzo, che avrebbe trovato tali notizie nel guardare la storia di Melzo e territorio adiacente, e fu padre Lepore, abate di Rho, che lo..."assicurò di aver egli stesso veduto uno scartozzo di sabbia d'oro con entro molte schegge della grandezza quasi di un quattrino, ritrovata nel fondo della Malpaga, che lo conservava il curato Bossi (1751 - 1764) nell'archivio parrocchiale, in occasione che fu qui per far le missioni". Gli è che quella vena d'oro non sarebbe bastata neppure ad arricchire gli stessi coltivatori del fondo, che perciò, disillusi, lo avrebbero denominato Malpaga.

Sant'Agata Martesana

è l'unica frazione del Comune di Cassina de' Pecchi e, per motivi sia geografici sia storici sia culturali, può essere considerato un paese autonomo rispetto al capoluogo.

Registrato agli atti del 1751 come un villaggio milanese di 283 abitanti saliti a 384 nel 1771, alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 Sant'Agata risultava avere 400 residenti. Nel 1809 un regio decreto di Napoleone determinò la soppressione dell'autonomia municipale per annessione a Gorgonzola, ma il Comune di Sant'Agata fu poi ripristinato con il ritorno degli austriaci nel 1816. L'abitato crebbe poi discretamente, tanto che nel 1853 risultò essere popolato da 692 anime, salite a 740 nel 1861, un anno prima che il paese aggiungesse Martesana al proprio nome. Fu un decreto di Vittorio Emanuele II a decidere la soppressione del municipio, annettendolo a quello di Cassina de' Pecchi. Nel 1572 su indicazione di Carlo Borromeo vescovo, viene eretta la nuova chiesa mantenendone il nome, dovuto all'antico Monasterium Sant'Agatae del 1192. L'architetto è il Pellegrini e viene sponsorizzata dai nobili Cusani che abitano a Milano in Porta Romana, possessori in S. Agata di cascina (Cusana) e terreni. Nel 1574, la nuova chiesa, viene staccata dalla Pieve di Gorgonzola a cui era assoggettata, diventando parrocchia autonoma.

Dal punto di vista culturale, Sant'Agata ha delle proprie ricorrenze e un proprio calendario di eventi, in particolare: La festa di san Fermo (9 agosto), patrono insieme a sant'Agata del paese, che richiama gente dai paesi limitrofi per partecipare alle funzioni religiose in onore del santo e per assistere allo spettacolo pirotecnico che chiude la festa. La festa di san Fermo è anche l'occasione in cui la gente nata e cresciuta in paese, ma per qualche motivo emigrata altrove, usa ritrovarsi.

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