RISTORANTE LA PIROGUE a Castelletto di Cuggiono (Mi)

 

La Pirogue", ristorante a pochi chilometri da Milano trova una sua connotazione molto suggestiva sulle rive del Naviglio Grande, a far da cornice il rigoglioso Parco Fluviale del Ticino.

Carne grigliata e cocktail in un locale rétro con foto d'epoca alle pareti tappezzate e terrazza sul Naviglio.

Mar - Dom: 12:00 - 15:00 / 18:30 - 24:00

+39 02 9724 9154

CUGGIONO (Mi)

MONUMENTI E LUOGHI DI INTERESSE

OSTERIA DEL PONTE

La Pirogue

Museo Cuggionese 

tour delle delizie

Villa Annoni (passata poi per proprietà alla famiglia Cicogna), è una maestosa villa neoclassica, risalente all'epoca napoleonica, edificata nel 1809 dall'architetto milanese Zanoja. L'edificio presenta una tipica pianta a "U" il che fa supporre che sia stata edificata su un edificio preesistente, risalente quasi certamente al Settecento. Il corpo centrale era destinato ad abitazione, mentre i corpi laterali svolgevano la funzione di locali di servizio, stalle e scuderie: l'intera superficie coperta supera i 4000 m² La villa è decorata con pregevolissime ed imponenti colonne di granito di Baveno, che coronano una piccola scalinata anch'essa in granito, ai lati della quale si trovano due sculture rappresentanti due leoni araldici in marmo bianco. Il portone è in ferro battuto e lastroni di cristallo ed è andato probabilmente a sostituire un più antico portale in legno. La villa, passata dai proprietari al senatore Pietro Bellora, è oggi di proprietà comunale ed ospita il municipio cittadino. Di grande rilevanza è anche l'immenso parco di 230.000 m², realizzato in stile romantico con tratti all'inglese, ricco di piante indigene ed esotiche, che ancora oggi si distingue come il secondo parco recintato più grande della Lombardia dopo quello di Monza.

Villa Clerici di Rovellasca  è un edificio risalente al Settecento che si trova ancora oggi nel centro storico di Cuggiono. Esso venne commissionato dalla famiglia dei Clerici di Rovellasca (da non confondere coi Clerici feudatari di Cuggiono) all'architetto Lurani.  La famiglia Clerici a cui ci riferiamo ebbe un valore di rilievo nei secoli successivi, tra Ottocento e Novecento, grazie alla fondazione delle “Industrie Elettriche di Legnano”, un’azienda che seppe rivestire un ruolo di elevato spessore per l’intera area territoriale su cui sorge Cuggiono.

La villa dispone di un cortile doppio con un colonnato ed un ampio parco interno retrostante la villa, contenente diverse specie arboree centenarie. All'interno della villa è presente anche una cappella privata con aree destinate alla servitù, oltre ad una ghiacciaia del XVIII secolo.

L'interno della villa venne parzialmente ridecorato negli anni '20 del Novecento quando la famiglia raggiunse un nuovo picco di splendore grazie all'acquisizione della proprietà della società "Industrie Elettriche di Legnano".

Attualmente la proprietà è dell'ex-vicepresidente della Regione Lombardia, Mario Mantovani.

Palazzo Clerici (Castelletto) Con il termine Castelletto si definisce ora un'area frazione del comune di Cuggiono, ma un tempo esso era identificativo dell'unico edificio di grande rilievo presente nell'area. Aveva 365 finestre, una per ogni giorno dell’anno, e negli anni bisestili veniva aperta una finestra in più, murata durante gli altri anni (in effetti è ancora oggi visibile una finestra – murata – che affaccia sulla corte d’onore). Nel 1871 il complesso venne venduto dai marchesi Clerici e da allora iniziò una lenta decadenza. Trasformata in tessitura e poi disabitata, oggi ci accoglie con affreschi meravigliosi e con la splendida scalinata in granito rosa di Baveno che scende verso il naviglio. Purtroppo, l'ultima rampa venne eliminata - per realizzare una vasca antincendio - nel periodo in cui divenne una fabbrica. Nella fotografia, è ancora visibile l'antica porta-finestra, oggi solo finestra, che introduceva nella villa coloro che arrivavano in barca.

Murati i corridoi sotterranei che portavano alle cucine e magazzini e che furono protagonisti di fosche leggende, restano le storie vere, tra cui quella legata al più splendido tra i Clerici, quell'Antongiorgio, molto caro alla imperatrice Maria Teresa d'Austria che, si dice, lanciava monete d'oro al suo passaggio? Quando si recò al conclave per l'elezione del papa, in rappresentanza della imperatrice, il suo abito aveva una bottoniera di diamanti e i suoi cavalli erano ferrati in argento. Da qui, il detto che trovare un ferro di cavallo porta fortuna.

Quando iniziò la costruzione del Palazzo Clerici nel 1685, l'assetto del borgo venne totalmente rivoluzionario e ancora oggi esso rimane intatto. La struttura della villa è imponente: essa si affaccia sul Naviglio da uno sperone naturale ed è caratterizzata da un grande corpo chiuso a cortili e caratterizzato dalla presenza di due torri con servizio di piccionaia (un tempo erano quattro). 

Chiesa parrocchiale di San GiorgioIl primo nucleo della chiesa sorse probabilmente attorno all'VIII secolo, ma si ha ragione di credere che essa non fosse che una piccola cappella dedicata perlopiù al culto dei defunti, subendo in seguito radicali trasformazioni che mutarono radicalmente l'assetto della struttura originaria, mantenendo però inalterati l'orientamento del tempio (rivolto con l'abside a est) e la posizione del campanile sulla facciata.

La chiesa di San Roccovenne costruita dalla "Schola di San Rocco" di Cuggiono nel XVI come voto di questa confraternita se la città fosse stata liberata dalla peste e dalla sifilide. A partire dal 1524, dunque, con la diminuzione degli ammalati, la fratrìa diede inizio alla raccolta di fondi per la costruzione dell'edificio, mentre l'appezzamento di terreno venne donato dal nobile Ugone Crivelli, proprio sul bivio tra le strade che conducevano a Castano Primo ed a Castelletto.

chiesa dei Santi Filippo e giacomoa Castelletto di Cuggiono trae le proprie origini in tempi antichissimi, in quanto un luogo di culto è già menzionato a Castelletto in un atto notarile del 988. Di quell'antica chiesa oggi però non rimane nulla, dal momento che essa è stata completamente riedificata dal 1605, facendo seguito ad una serie di primi ampliamenti iniziati dai monaci domenicani nel XIV secolo quando giunsero in paese che allora aveva funzione di grangia per il monastero di Sant'Eustorgio a Milano da cui direttamente dipendeva. I monaci costruirono l'ala conventuale che ancora oggi affianca a mo' di corte la chiesa e di quest'epoca si conserva ancora oggi presso la vicina casa parrocchiale un frammento di affresco detto la "Madonna del Latte" con un'immagine di Maria che allatta Gesù bambino un tempo collocata all'interno della chiesa (XVI secolo).

Centrale idroelettrica era sita un tempo una delle prime centrali idroelettrice nel territorio del magentino. Realizzata nel 1889 dal possidente Carlo Cornelli, sfruttando il salto d'acqua di 7,30 metri proveniente dal canale colatore Arno, venne realizzata la prima centrale elettrica che alimentava l'energia a Castelletto ed a Cuggiono, garantendo così per la prima volta l'illuminazione elettrica pubblica nelle vie.

Alla morte del Cornelli nel 1928, la centrale venne acquistata dalla Società Elettrica Cuggionese che nel frattempo si era formata per la gestione dell'energia elettrica sul territorio comunale. La centralina subì dunque dei lavori di ampliamento e continuò a funzionare ininterrottamente sino al 1963 quando ne venne decisa la chiusura. Attualmente la struttura in forma di rudere è ancora visibile nel territorio castellettese presso il Ticino, in località Baragge.



FRAZIONI

Castelletto. La frazione di Castelletto lega strettamente nei secoli la sua storia a quella di Cuggiono, comune di appartenenza, sebbene le due entità da sempre abbiano condotto esistenze e sviluppi indipendenti tra loro. Il nome "Castelletto" deriva dal castello di proprietà della famiglia Clerici (l'attuale Palazzo Clerici), situato sulle sponde del Naviglio Grande, su un'altura strategica probabilmente insediata per scopi militari già dall'epoca della dominazione romana. Presso il ponte ed in alcuni campi circostanti, nel 1908, sono state ritrovate circa trenta tombe di epoca celtica (IV secolo), segno che anche in questa zona esisteva un insediamento sin dall'epoca. Sono stati riportati alla luce diversi oggetti in bronzo, fibule, tintinnabuli, anelli, pinzette, una spilla a forma di lucertola, dei braccialetti, oltre a vasi per alimenti, patene e coppe.

Di Castelletto parla Goffredo da Bussero nel suo Liber Notitiae Sanctorum Mediolani del XIII secolo nel quale cita l'esistenza di un luogo di culto, identificato con l'attuale chiesa dei Santi Giacomo e Filippo, ed un'ulteriore chiesetta dedicata a San Quirico (oggi scomparsa). Questo fatto si presenta significativo dal momento che Castelletto all'epoca era già parrocchia, malgrado altre frazioni e comuni locali come Malvaglio, Robecchetto, Vanzaghello, Bienate e Furato non lo fossero ancora.

È col XVI secolo però che Castelletto iniziò ad acquisire un'importanza rilevante, quando divenne feudo dei marchesi Clerici di Milano. I Clerici a Castelletto iniziarono la costruzione del grandioso palazzo che non solo modificò radicalmente l'assetto delle abitazioni lungo il Naviglio, ma ne assorbì completamente le maestranze ed i lavoratori, non solo impiegati per la costruzione del castello stesso, ma anche con la complessa e variegata serie di lavoranti ed artigiani di cui la "corte" dei Clerici abbisognava.

La costruzione del ponte in pietra "a schiena d'asino" nel XVIII secolo ancora oggi visibile sarà un altro degli elementi condizionanti dell'economia del paese che ne uscirà fortificata, con maggiori collegamenti con l'area della vallata.

In tempi più recenti, l'8 settembre 1945 il borgo è divenuto la prima sede dell'istituto religioso delle Oblate della Mater Orphanorum fondato da padre Giovanni Antonio Rocco.

La frazione è comparsa nel film L'albero degli zoccoli del 1978 del regista Ermanno Olmi dove sono state riprese alcune delle vie storiche in acciottolato, la piccola chiesa parrocchiale, il ponte, Palazzo Clerici e l'imbarcadero-lavatoio.

STORIA

Le prime tracce di insediamenti umani nel territorio di Cuggiono risalgono a tempi antichissimi come prova il ritrovamento, in prossimità dell'agglomerato urbano attuale, di interessanti reperti archeologici, ora raccolti nel museo archeologico di Legnano: in località Scansioeu sono stati rinvenuti un vaso alto circa 20 cm formato da zone tronco-coniche alternativamente colorate in rosso ed in nero, vari bicchieri a calice, bronzi e fittili di epoca gallica, oltre a fibule a forma di sanguisuga, tintinnambuli, anelli, pinzette, ornamenti a forma di lucertola, braccialettini, vasi per alimenti, coppe, ciotole. I fittili gallici hanno la caratteristica tipica di essere realizzati con una terra molto fine (talvolta scura) e di essere levigati a semilucenza esterna; presentano inoltre, notevoli varietà di tonalità dovute a disuguaglianza di colore nella cottura. Dagli scavi in località Galizia provengono due teste leonine con disco traforato destinate, forse, ad un astuccio in cuoio. Dalla presenza di questi reperti si può dedurre dunque che i primi abitanti della zona siano stati i galli insubri, i quali erano totemisti e come tali pensavano che all'origine delle varie tribú vi fosse un animale od una pianta, da qui la loro venerazione di acque, pietre e piante e l'origine etimologica stessa dell'abitato di Cuggiono.

La storia di Cuggiono è strettamente legata a quella dei Crivelli, una famiglia nobile di origine antichissima della quale si hanno notizie storiche a partire dal 337 d.C. anno in cui il nome dei Crivelli fu inscritto nella Chiesa Metropolitana di Milano. La famiglia fu per lungo tempo feudataria di Cuggiono e diede a Milano il suo ventottesimo arcivescovo, Ausano di Milano, che morì nel 567, alla vigilia della conquista longobarda dell'Italia settentrionale. Dopo la conquista franca dell'VIII secolo, Cuggiono divenne parte di uno dei cinque contadi in cui era divisa la campagna milanese: il Seprio. Nel 1098 si trova un "Ottone da Cuciono" che figura testimone in un contratto di vendita tra Algerio fu Valone e Ariberto, prete, fu Ambrogio da Castano; nel 1149 si riscontra invece che Giovanni d'Arzago, abate di Sant'Ambrogio, investì Domenico, Pietro, Pastore e Guala Crivelli, tutti figli di altro Guala, delle rive, ghiaie e boschi di Brinate (ora Bernate) e Cusonno (ora Cuggiono), affinché le ritenessero a nome di feudo del monastero di Sant'Ambrogio. Nel 1150 Guala Crivelli era feudatario di Cuggiono e dei dintorni. Suo figlio Uberto salì al soglio pontificio nel 1185 col nome di Urbano III; egli resse i destini della chiesa per due anni nel periodo caotico e turbolento della lotta fra il papato e l'impero per la supremazia politica in Europa.

Nel 1533 Cuggiono, che faceva parte della pieve di Dairago, diventò feudo di Castellano Maggi. Nel 1559 il feudo di Dairago fu venduto agli Arconati. Nel 1648 la Real Camera sottrasse il feudo agli Arconati, dietro la restituzione della somma che essi avevano pagato ai Maggi al momento della compravendita e ne vendette una parte alla famiglia Della Croce.

Cuggiono, che era rimasta libera da ogni vincolo feudale, decise di acquistare la redenzione impegnandosi a pagare 10.475 lire milanesi per evitare di essere nuovamente infeudato.

Nel 1672 una parte di Cuggiono, detta Cuggiono Minore, accettò di divenire feudo della famiglia Piantanida: i suoi abitanti infatti pur di essere sollevati dai debiti contratti per l'acquisto della redenzione, decisero di rinunciare alla propria indipendenza. Nel 1676 i Piantanida si offrirono di acquistare anche la restante parte di Cuggiono, ma la Real Camera la cedette alla famiglia Clerici ai quali rimase sino al 1768, anno in cui a causa della mancanza di eredi, Cuggiono ritornò alla Real Camera. Curioso è il fatto di questa successione che coinvolse Carlo Ludovico Clerici, uno dei personaggi più importanti della Milano spagnola del suo tempo. I Clerici, infatti, da qualche tempo avevano posto la loro attenzione sulla terra di Cuggiono, il cui borgo era diviso in Cuggiono Maggiore e Cuggiono Minore. Con l'intento di scalzare la famiglia concorrente dei Piantanida per ottenere l'intero feudo, il Clerici fece comunque un'offerta molto bassa per gli oltre 200 fuochi (famiglie) presenti in paese, sperando di poter contare sull'influenza della sua famiglia, ma proprio per questo motivo il Magistrato Straordinario che a Milano si occupava dei feudi ai nobili, decise di concedere l'intero possedimento ai Piantanida. Carlo Ludovico mise quindi sul piatto della bilancia l'influenza della sua famiglia e riuscì ad ottenere che il Magistrato Straordinario non solo riaprisse l'infeudamento per Cuggiono Maggiore, ma anche per Cuggiono Minore che già i Piantanida avevano acquistato nel 1673. Favorito in questo da Carlo II di Spagna, il Clerici riuscì ad ottenere il feudo di Cuggiono Maggiore ma addivenne ad un accordo coi Piantanida, consentendo loro di possedere la parte di Cuggiono Minore.

MUSEO CUGGIONESE a Cuggiono (Mi)

Abbiamo sede nel corpo laterale destro della Villa Annoni Cuggiono negli stessi locali che erano ad uso della servitù. A questo complesso neoclassico risalente al periodo napoleonico, edificato nel 1809 su progetto dell’architetto Zanoja, è annesso un parco recintato che, in Lombardia, è secondo solo al parco della Villa Reale di Monza. Le varie sale del Museo sono disposte su due piani e vi si accede dal chiostro della Villa.

Le origini del Museo risalgono ai primi anni '80 quando in un gruppo di amici nacque l'idea di raccogliere le memorie del passato: ogni strumento o attrezzo di lavoro doveva essere tramandato ai posteri quale concreta testimonianza della fatica e del lavoro quotidiano dei nostri antenati.

domenica15–18:30

OSTERIA DEL PONTE a Castelletto di Cuggiono (Mi)

 L’ambiente, curato nei minimi dettagli, rende la nostra osteria, il luogo ideale per ogni occasione, sia per un pranzo di lavoro, una serata tra amici o una cena romantica.

Un menù sempre nuovo, ricco dei sapori di stagione, abbina gustosi piatti di carne argentina alla griglia a piatti tradizionali. In alternativa proponiamo vantaggiosi menù a prezzo fisso.

La sala più suggestiva dell’Osteria del Ponte è senza dubbio la Veranda, che si affaccia direttamente sulla riva destra del Naviglio.

Potrete gustare della favolosa carne argentina cottaa regola d’arte, sulla nostra griglia a vista, oppure potrete nelle sere d’estate cenare a lume di candela.

L’Osteria del Ponte dispone di 3 bellissime salette interne, rispecchianti la vera essenza della nostra Osteria. La Sala Rossa, la sale Gialla e la sala Blu.

La Sala Rossa accogliente d’inverno con il camino acceso, permette ai nostri ospiti di gustare i piatti dell’Osteria, coccolati dal caldo tepore del camino a legna.

La Sala Blu è l’ideale per piccoli gruppi, massimo 10/12 persone. Permette di pranzare o cenare in totale tranquillità.

La Sala Gialla, luminosa ed accogliente, la più grande delle tre, è l’ideale per pranzi di lavoro o per grandi compagnie di amici.

Chiusi il martedì e il lunedì sera

Pranzo dal lunedì al sabato con possibilità di menù a prezzo fisso € 12,00

Tutte le sere e domenica a pranzo menù alla carta

Tel. +39 02.974219

CASALPUSTERLENGO (Lo)

MONUMENTI E LUOGHI DI INTERESSE

Villa Biancardi Vistarini  Fu fatta costruire nel 1911 dal Cav. Serafino Biancardi all'architetto Gino Coppedè, là dove in origine probabilmente vi era una struttura fortificata (da qui il nome tradizionale di "castello"). L'egante edificio è situato all'interno di un ampio parco. Si segnala, all'interno, la Sala della caccia, affrescata dal pittore casalese Angelo Prada (1859-1934). L’elemento architettonico più caratteristico è la torre del belvedere. Oggi centro cultura

Santuario della Madonna dei Cappuccini Da ricordare anche il santuario della Madonna dei Cappuccini, sede della parrocchia di Maria Madre del Salvatore, luogo di culto che risale al XVI secolo. Sono segnalati il simulacro della Madonna dei Cappuccini del XV secolo e la tela dell'Ascensione, di Giovan Battista Trotti detto il Malosso.

chiesa parrocchiale dei SS. Bartolomeo Apostolo e Martino VescovoNel Cinquecento l'antica pieve di San Martino fu soppressa e la dignità di prepositurale passò contestualmente alla chiesa di San Bartolomeo, che assunse quindi il doppio titolo di San Bartolomeo e San Martino.

All'inizio del XVII secolo la chiesa fu ricostruita; ne risultò un edifico di forme barocche che si componeva di un'unica navata su cui s'affacciavano sei cappelle laterali.

Torre Pusterla simbolo della città, che è parte della struttura originaria dell'antico castello, non più esistente; è la sede della Pro Loco e ospita numerose rassegne pittoriche. 

 palazzo Pedroli   inizio sec. XVIII - fine sec. XIX

palazzo Cesaris  sec. XVII

 palazzo Lampugnani sec. XVII

Palazzo Grassi,edificio la cui fondazione risale al XIV secolo.

Parrocchia dell'Assunzione della Beata Vergine Maria,risalente al XV secolo. La parrocchia fa parte del vicariato di Casalpusterlengo.


FRAZIONI

Vittadone fu attestata per la prima volta nel 1039. Il territorio comunale comprendeva la frazione di Buongodere e Muzzano.

In età napoleonica (1809-16) Vittadone fu frazione di Casalpusterlengo, recuperando l'autonomia con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto.

All'Unità d'Italia (1861) il paese contava 749 abitanti.

Nel 1929 Vittadone fu definitivamente aggregata a Casalpusterlengo.

Attualmente, in seguito allo spopolamento delle zone rurali, conta soli 246 abitanti.

Zorlesco fu attestata per la prima volta nel 1039, nel testamento del conte Ilderado da Comazzo. Il territorio comunale comprendeva la frazione di Olza. Una chiesa di San Nazaro è menzionata già nel 1261. Verso la metà del XVI secolo fu eretta la nuova chiesa dedicata ai Santi Nazario e Celso, alla quale fu riconosciuto il titolo di parrocchia nel 1562 da Papa Pio IV.

In età napoleonica (1809-16) Zorlesco fu frazione di Casalpusterlengo, recuperando l'autonomia con la costituzione del regno Lombardo-Veneto.

All'Unità d'Italia (1861) il comune contava 1.919 abitanti. Nello stesso anno il paese fu lambito dalla linea ferroviaria Milano–Bologna, senza che però vi fosse costruita una stazione.

Nel 1929 Zorlesco, insieme a Vittadone, fu aggregata a Casalpusterlengo.

Il centro urbano è attraversato dal Brembiolo. Nei pressi del paese sono tuttora presenti alcuni interessanti esempi di architettura rurale, come la Cascina del lago, la Cascina Olza, e la Cascina Battaglia.

STORIA

Il nome della località deriva dai Pusterla, casata a cui il borgo appartenne nel XIV secolo. Esiste anche una seconda teoria la quale dice che il nome derivi da Casale Pistorum, in quanto in epoca romana furono costruiti dei forni da panificazione. Anticamente, prima di assumere il nome che poi lo contraddistinse, il borgo si chiamò Casale Gausari.

Il borgo, di antica origine, nel XIV secolo fu un possedimento feudale dei Pusterla, ai quali successero (dopo anni nei quali si avvicendarono nobili e capitani di ventura) i Lampugnani (fu il duca di Milano Francesco Sforza a investire del feudo i fratelli Gian Giorgio I e Francesco Lampugnani nel 1450), poi i marchesi Castelli (1665-1695) e infine i Trivulzio. Il paese fu teatro di numerosi fatti d'arme nei secoli XV e XVI; uno dei più importanti avvenne nel 1447, al tempo della Aurea Repubblica Ambrosiana, quando le truppe veneziane per giungere a Milano assediarono il castello (feudatario era Giacomo da Imola). La rocca resse alle aggressioni, mentre Lodi e San Colombano capitolarono. Proprio a Casalpusterlengo si raccolse poi l'esercito di Francesco Sforza; nel 1450 lo Sforza ottenne la signoria su Milano, facendo rinascere il Ducato. I sanguinosi conflitti del tempo trovarono poi risoluzione nella pace di Lodi, il 9 aprile 1454.

Il borgo fu nuovamente al centro dello scenario bellico al tempo delle conquiste napoleoniche; a Casalpusterlengo, in una residenza nobiliare, Napoleone Bonaparte soggiornò infatti in occasione della battaglia di Lodi nel 1796. Dell'antico castello, eretto dai Pusterla, rimane una torre merlata, a due corpi sovrapposti, recentemente restaurata. Al Seicento risalgono la parrocchiale dei SS. Martino e Bartolomeo, la cui facciata venne restaurata nella seconda metà dell'800, e la chiesa di San Bernardino.

Storicamente è attestata la presenza di un importante mercato settimanale, descritto da fonti scritte già dal 1500, e che il Comune contese al feudatario Lampugnani nel 1590 in una disputa risolta dal Senato di Milano con il riconoscimento alla Comunità del diritto sulla piazza. 

Particolarmente degni di nota sono gli avvenimenti legati alle apparizioni mariane avvenute, secondo la tradizione, nel 1574, che diedero l'avvio alla devozione per la Madonna dei Cappuccini e furono all'origine dell'edificazione dell'omonimo santuario, situato dove anticamente sorgeva la chiesa di San Salvario e affidato alla comunità religiosa francescana. Il santuario è meta di pellegrinaggi, e vi sono custodite le spoglie del Venerabile Padre Carlo da Abbiategrasso, per il quale è in corso la causa di beatificazione.

In età napoleonica (1809-16) al comune di Casalpusterlengo furono aggregate le località Pizzolano, Vittadone e Zorlesco, ridivenute successivamente autonome, con la costituzione del regno Lombardo-Veneto. Nel 1869 si pensò di unirgli il comune di Pizzolano, ma subito ci si ripensò. Nel 1929 vennero aggregati i comuni di Vittadone e Zorlesco.

CASTELSEPRIO (Va)

MONUMENTI E LUOGHI DI INTERESSE

Parco archeologico

La chiesa di Santa Maria foris portas si trova nel comune di Castelseprio in provincia di Varese, su un'altura distante duecento metri dalla cinta muraria di un antico castrum, da cui l'appellativo in latino medievale.

STORIA

Castelseprio è conosciuto per la zona archeologica, il borgo fortificato che fu capoluogo del Contado del Seprio. Castelseprio sorse come postazione difensiva nell'epoca delle invasioni barbariche intorno al IV secolo. Da Sibrium, nome latino di Castelseprio, passava la via Novaria-Comum, strada romana che congiungeva Novaria (la moderna Novara) con Comum (Como) passando per Sibrium (Castelseprio).

I domini del Seprio andavano dal Lago di Lugano al monte Ceneri, a Parabiago, fino a Ponte Chiasso, alla valle d'Intelvi e al Ticino, al lago Maggiore. Castelseprio divenne in epoca bizantina capitale amministrativa, giudiziaria e militare e mantenne la propria importanza fino a quando Milano e Como cominciarono a insidiarlo per impadronirsi del vasto territorio.

Fu distrutta dai milanesi nel 1287 con il tradimento di alcuni alpigiani della valle dell'Ossola. Ottone Visconti, arcivescovo di Milano, decretò che la roccaforte non venisse mai più ricostruita. Vennero risparmiati solo gli edifici sacri.

Per cinque secoli la vegetazione ricoprì i resti del castrum. Il castrum è considerato un sito archeologico di importanza europea. Affreschi nella chiesa di Santa Maria foris portas, i resti della Basilica di San Giovanni e quelli di San Paolo. Dello stesso unicum archeologico è il Monastero di Torba, gestito dal FAI.

La zona archeologica è stata dichiarata il 26 giugno 2011 Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO, quale parte del complesso di siti archeologici legati al dominio dei Longobardi in Italia ("Longobardi in Italia: i luoghi del potere (568-774)").

MONASTERO DI TORBA a Gornate Olona (Va)

Quella del complesso di Torba è una vicenda antichissima che ha origine nel V secolo d.C., quando i Romani costruirono le mura di un avamposto militare contro la minaccia dei barbari, nei pressi del borgo di Castelseprio. Ancora oggi il torrione di guardia rimane a testimonianza della funzione originaria del castrum, portata avanti anche da Goti, Bizantini e Longobardi e poi mutata nel tempo.

Da roccaforte difensiva, Torba divenne centro religioso con l’insediamento di un gruppo di monache benedettine che nell’VIII secolo fece costruire il monastero e, più tardi, la piccola chiesa. Per circa sette secoli l’appartata comunità femminile abitò questo luogo, consegnandoci come eredità del suo durevole passaggio gli affreschi nella torre, ieratici, dall’aura quasi misteriosa.

Nel Quattrocento le Benedettine si trasferirono e per Torba cominciò un lento declino che portò il complesso a tramutarsi in azienda agricola e, a inizio Ottocento, a perdere la propria funzione religiosa per scivolare gradualmente in uno stato di degrado interrotto solo nel 1976 grazie al FAI. Oggi questo sito millenario dal passato importante (non a caso inserito nel 2011 nelle liste del Patrimonio dell’Umanità UNESCO) rivive anche alla luce dei continui ritrovamenti di età longobarda, che costituiscono solo una delle sorprese che il Monastero, e il suo territorio ricco di tesori di arte e natura, offrono a chi va alla ricerca di luoghi fuori dai circuiti più noti e frequentati.

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PARCO ARCHEOLOGICO DI CASTEL SEPRIO a Castelseprio (Va)

Il Castrum di Castelseprio, parte dell’omonimo parco archeologico, nasce in epoca tardo romana con piccoli insediamenti, all’incrocio fra le strade di Como e Novara. Nel tardo Medioevo, i Longobardi ne confermano la posizione strategica, sviluppandovi un ampio distretto territoriale. Anche successivamente quest’area si rivela cruciale per il controllo della Valle Olona, tant’è che i Visconti, sconfitti i Torriani, ne imposero la distruzione.

Dopo l’abbattimento della rocca, l’abitato si è spostato ai margini. L’area è rimasta isolata e ricoperta dalla vegetazione per oltre sette secoli e solo negli anni Cinquanta sono iniziati i primi scavi archeologici.
Il parco archeologico di Castelseprio comprende:

  • il castrum, con una serie di costruzioni militari, religiose e civili
  • la Basilica di San Giovanni Evangelista e la Chiesa di San Paolo, di cui rimangono solo ruderi
  • la cascina/convento di San Giovanni con l’Antiquarium appena allestito, dove sono esposti i materiali dei primi insediamenti preistorici, resti di affreschi e ceramiche rinascimentali.
  • il borgo, sviluppato a occidente del castrum, di cui vi sono resti affiorati
  • la Chiesa di Santa Maria foris portas, che è l’edificio più antico e meglio conservato del parco. Con una struttura molto semplice e quasi rustica, l’edificio era forse una chiesa privata con funzioni funerarie. Costruita in età carolingia, la Chiesa di Santa Maria custodisce un vero gioiello, con un ciclo di affreschi dedicati all’infanzia di Cristo, considerati una tra le più importanti testimonianze della pittura muraria europea dell’Alto Medioevo. L’autore, noto come “Maestro di Castelseprio”, è anonimo e sembra essersi ispirato soprattutto ai vangeli apocrifi. Lo dimostra la rappresentazione della “prova delle acque”, in cui si racconta la verifica della verginità di Maria facendole bere acqua amara, episodio che è presente solo nella tradizione apocrifa. A livello tecnico si nota uno schema prospettico tipico della pittura romana e quindi la sopravvivenza di elementi artistici classici alla concezione germanica.

ORARI FINO AL 31/3/2022: Mercoledì: 8.30-13.30; giovedì, venerdì e sabato: 13.30-17.30; domenica e festivi (SOLO 6 e 20/3): 9.30-17.30. PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA - per prenotare telefonare con almeno un giorno di anticipo al numero 366.6632727

CANZO (Co)

MONUMENTI E LUOGHI DI INTERESSE

Lago di Segrino itinerario turistico

Villa e parco Magni location per eventi visitabile con il Fai in determinati periodi


Villa Gavazzi, nella sua parte più antica risalente al XVIII secolo

Villa Barni, risalente agli inizi del XIX secolo


Villa Verzafu costruita tra il 1769 e il 1820Nel 1667 la Corte di Casale, e quindi anche Canzo, divenne feudo camerale dei marchesi Crivelli che per primi affiancarono all'attività agricola l'industria serica. L'attitudine dei canzesi al settore si era peraltro dimostrata in maniera evidente già nel Seicento, quando i panni di lana prodotti a Canzo, soprattutto dai Tentorio facevano concorrenza, per qualità e prezzo, a quelli realizzati a Milano. Alla fine del Settecento si contavano a Canzo ben nove filande, che davano lavoro a duecento persone: la sola Canzo competeva quanto a mole di manodopera con l'intero distretto di Lecco. Verso la metà dell'Ottocento quella di Carlo Verza annoverava 1 300 dipendenti, ed era la tra le prime tre in Lombardia per dimensione, produzione e qualità del filato, insieme a quella dei Gavazzi in Bellano e a quella dei Sormani (entrambe famiglie stabilite anche nel Canzese e imparentate con i Verza e i Ponti). In linea generale, dal Seicento alla metà dell'Ottocento, Canzo fu considerato uno dei più ricchi e importanti centri manifatturieri dell'intera Lombardia.


Basilica prepositurale plebana di Santo Stefano protomartireDetta anche Gésa granda, è la chiesa prepositurale. L'edificazione ebbe inizio nel 1728 sul luogo di una precedente costruzione, attestata dal 1398 in un documento testimoniante l'autonomia della parrocchia, dedicata allo stesso santo e già dotata nel 1574, durante la visita pastorale di San Carlo, dei cinque altari attuali. La Basilica è stata eretta Prepositura, col titolo di Basilica Prepositurale Plebana, con decreto ad perpetuam memoriam in data 21 aprile 1899 da papa Leone XIII il quale concesse "Non ad Personam sed pro Tempore" il Titolo di Prevosto. Il sagrato è in granito, decorato a intarsio; in passato era acciottolato. L'edificio, tradizionalmente definito "basilica" pur non essendolo ufficialmente, è in stile barocco classico e possiede un alto campanile angolare, a destra, con tetto in bronzo (il progetto del 1818, dell'architetto Bovara, ne prevedeva due). La facciata è parzialmente, come i lati lunghi della chiesa, dipinta di un giallo tenue; presenta un portone principali e due portoni laterali.

Chiesa di San Francesco e Beato Miro Detta anche Gésa da San Mirètt, dal nome del secondo dedicatario, utilizzando il diminutivo per distinguerla da quella propriamente di San Mir (il santuario-eremo). È una chiesa conventuale e si trova in piazza San Francesco, ed è affiancata dalla casa del prete, un tempo ambulatorio; nella piazza si trovano inoltre due cuurt (di Pinòla e di Meroni), una fontanella (servita dall'acquedotto e sormontata da un'altra fontana, da cui sgorga una parte dell'acqua di Gajum) situata in una nicchia delle pittoresche mura di Villa Meda, che ha un proprio arco di ingresso su piazza San Francesco, arricchito da una pregiata lunetta in ferro battuto e da un grande affresco. Il sagrato è in porfido, come del resto tutta la piazza, e presenta una scalinata. L'insediamento del complesso conventuale risale alla fine del Trecento, ed era inizialmente dedicato alla Vergine, mentre successivamente, forse nel Quattrocento, fu consacrato a San Miro. Nella prima metà del Settecento furono svolti lavori di consolidamento e ampliamento, mentre la fine del secolo vide la fine della presenza dei Frati Minori, e quindi il passaggio dell'indulgenza del Perdon d'Assisi alla parrocchiale. Agli inizi dell'Ottocento, con il lascito del prevosto don Angelo Sala e il contributo di Giovan Battista Gavazzi, il convento venne trasformato in Ospedale Civile per divenire poi, dalla prima guerra mondiale agli anni settanta, casa di riposo; nel frattempo la chiesa assunse la denominazione di san Francesco, anche se nella memoria della popolazione rimane la dedicazione a san Miro. Successivamente, dopo un restauro conservativo, la chiesa assunse, per volontà della Curia Arcivescovile, la funzione di Oasi monastica. L’avvicinamento in macchina è molto comodo. Raggiunto Canzo si può lasciare la vettura in uno dei numerosi parcheggi disponibili in paese. Nei giorni infrasettimanali si può arrivare fino alle fonti di Gajum attraverso un breve tratto di strada di montagna che non presenta nessuna difficoltà.

Cappella di San Michele - Lazzaretto

La cappella è dedicata a san Michele Arcangelo e si trova in cima a un piccolo dosso, a quota 460 m sul lato destro lungo la strada verso le Fonti di Gajum. Questo luogo venne utilizzato come lazzaretto durante l'epidemia di peste del 1863 e forse anche in casi di precedenti contagi: secondo una tradizione locale il prato sottostante sarebbe usato come camposanto per i morti della peste del 1630, descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi. La cappella è stata oggetto di interventi di restauro e conservazione nel corso del tempo garantendone un buono stato di conservazione fino a oggi. Al suo interno sono affrescati il santo e le opere temporali di misericordia. Da questa cappella si diparte la strada acciottolata che, risalendo lungo la vall da Pésura, arriva alla cima del monte Cornizzolo. Poco sopra la cappella si trova una buona fonte.

villa Meda Villa Meda (XVII-XVIII secolo), costruita sul fianco destro del torrente Ravella, nel centro storico del paese, è un complesso composto da una corte principale con un porticato ad arcate con pilastri quadrangolari, decorati da lesene che sostengono un marcapiano. All'interno sono presenti volte affrescate e soffitti in legno a cassettoni decorati da Luca Roscio di Vill'Albese, del 1701 (o 1702). Da un altro più piccolo cortile interno, si accede al battistero a pianta circolare, con colonnato centrale in pietra e volta ottagonale in legno. Il parco è occupato da alcune piante secolari, cippi in granito, balconate belvedere, portali e nicchie sul muro simulanti piccole grotte, come in uso nei giardini signorili dell'epoca.

La villa è opera dell'architetto Simone Cantoni di Muggio, che trasformò e ingrandì la preesistente residenza dei conti Meda, con interventi di stile neoclassico. Il progetto si protrasse dal 1795 al 1804, quando il lavoro fu portato a termine dal monsignore fratello del conte. L'architetto dispose i locali di rappresentanza attorno ai cortili interni e le parti abitate a contatto col giardino all'italiana e con l'ambiente agreste raggiungibile sull'altra sponda del torrente Ravella tramite un ampio ponte interno al perimetro della villa.

L'edificio venne usato nel XX secolo come colonia estiva per le Stelline e poi, durante la seconda guerra mondiale come caserma, ospitando le SS italiane arruolate presso le carceri milanesi; è stato restaurato per un utilizzo misto privato, sale pubbliche e stanze date in gestione alle locali associazioni; vi ha sede la biblioteca civica.

Palazzo Tentorio fu acquistato dall'omonima famiglia canzese nel 1706, anno in cui il territorio di Milano, di cui Canzo faceva parte, passava di mano dagli spagnoli agli austriaci. La ricchezza dei Tentorio si fondava sul commercio dei panni di lana, attività iniziata nel 1649 da Carlo Tentorio, disinvolto commerciante che aveva raggiunto una posizione di competitività aggirando i pesanti gravami della burocrazia spagnola. La famiglia contribuì economicamente in maniera significativa alla trasformazione settecentesca della chiesa prepositurale di Canzo, consacrata il 3 giugno 1752. La proprietà del palazzo rimase ai Tentorio per oltre un secolo: il 15 settembre 1828 lo stabile e le sue pertinenze furono acquistate dai fratelli Giovanni Maria, Benedetto e Venanzio Gavazzi, antica famiglia canzese in quegli anni impegnata nello sviluppo dell'industria serica, mentre nel 1889, il giorno di san Martino, il palazzo fu acquistato dal Comune per alloggiarvi la scuola; successivamente ospitò anche, e per più di un secolo, gli uffici comunali. Nel 1999 cominciarono i lavori di ristrutturazione e ampliamento, su progetto selezionato tramite concorso di idee, che portarono, oltre al restauro dell'antico Palazzo, alla creazione di una struttura moderna a forma di torrione, a mo' di novello broletto, simbolo dell'autonomia comunale. Dal 7 dicembre 2002, Palazzo Tentorio ospita l'ufficio e la segreteria del Sindaco, la sala Giunta e un'ampia area espositiva, collocata al secondo piano.

Siti archeologici

Fin dalla colonizzazione celtica, tutta la valle di Canzo fu legata al culto dell'acqua, di cui vi è abbondanza, e della pietra. Una testimonianza della diffusione dei culti acquatici si ritrova nell'origine del nome del lago del SegrinoFons Sacer ("Fonte Sacra" in latino), culto trasformato in culto romano a Marte, come si nota nei toponimi Castèll Mart e Martesana, poi nella devozione a San Michele, presso la fonte del Lazzaretto. Esempio invece di culto dei massi è il Sass dal Primm Fiöö, dove anticamente si recavano le donne per ottenere un buon parto; l'equivalente cristiano si ritrova nella scalinata ed edicola di Sant'Anna, con la stessa funzione. Più visibile è la grandissima roccia detta Cèpp da l'Angua, collocato ai piedi del monte Raj, dove si sovrappongono l'elemento acqua e l'elemento pietra, luogo in origine dedicato alla fata acquatica Anguana (da cui il nome), presente anche nella complessa celebrazione della Giubiana. Nel Medioevo, al contrario di quanto avvenuto in San Michele, questo culto non fu assimilato ma demonizzato: da qui deriva il secondo nome dello stesso, Scalfìn dal Diaul, ovvero "tallone del diavolo". Il santuario di San Miro, santo anch'esso legato all'acqua, inoltre, è costruito in corrispondenza di una fonte sotterranea, sede di un luogo sacro celtico (vi sono state trovate delle coppelle). Un altro masso rilevante è il Sass da la préa, che si trova sulla cresta di Cranno.

TRADIZIONI

La Giubiana di Canzo

A Canzo la celebrazione è particolarmente articolata, con molti personaggi simbolici appartenenti alla tradizione pagana celtica.
La festa è inoltre arricchita da vestiti tradizionali e da suggestivi addobbi in tutto il paesello, tra cui la caratteristica “gamba rusa” (gamba rossa) della Giubiana.
Dopo l’approvazione da parte dei pompieri, il processo si conclude con la sentenza dei Regiuu, ovvero gli anziani autorevoli del paese.
Tra i personaggi principali che percorrono il centro storico troviamo:

  • Giubiana – la vecchia che rappresenta tutti i mali dell’anno passato
  • Anguana – la fata acquatica proveniente dal Cèpp da l’Angua
  • Ul Cervùn – il cervo gigante, che riprende la figura di Cernunnos nella mitologia celtica
  • L’Òmm Selvadech – l’uomo selvatico, personaggio della mitologia alpina
  • L’Urzu – l’orso che esce dalla tana alla Cròta dal Bavèsc, simbolo della forza istintiva che deve essere domata
  • Ul Casciadùr – il cacciatore, che doma e fa ballare l’orso
  • I Diaul – i diavoli che cantano l’ode alla Giubiana
  • Il Bòja – il boia, che rappresenta la condanna del male
  • I Cilòstar – coloro che reggono i candelabri incappucciati, che simboleggiano la luce che vince il Male
  • I Strij picitt – le streghe che fanno paura ai bambini e cercano di salvare la loro compagna Giubiana
  • I Bun e i Gramm – i buoni e cattivi, ossia bambini vestiti di bianco e di nero, tinti in volto, che con il suono delle campanelle e con il rumore delle latte invitano le forze del bene e scacciano il maligno
  • Barbanégra – l’indovino del paese
  • Ul Pastùr – il rappresentante in maschera del mestiere pastorizio
  • Ul Buschiröö – il boscaiolo
  • L’Aucatt di caus pèrs – l’avvocato delle cause perse, quello venuto dal foro di Milano per difendere la Giubiana
  • La Cumàr da la Cuntrada – l’amica della Giubiana che legge il suo testamento
  • I Pumpiér – i pompieri in bicicletta, in costume storico e con la pompa anti-incendio originale dell’Ottocento
  • Gli Scarenèj – i rappresentanti della vicina campagna di Scarenna, legata storicamente con i contadini canzesi
  • Ul Carètt di paisàn – il carretto dei contadini (paesani), sul quale viaggia la Giubiana portata al rogo

STORIA

Il toponimo Canz, reso in latino con Cantius, è un vocabolo celtico collegato al gallico canto-, dal significato di "margine, lembo, appendice, bordo, contorno, angolo". La radice proto-celtica da cui deriva potrebbe essere *kanti ("insieme") oppure *kanxtu ("aratro"). Nel primo caso, verrebbe evocato anche il concetto di "adunanza popolare convocata su un colle circolare"; nel secondo caso, invece, sarebbero forse implicati i concetti di "lama" e "spigolo". In ogni caso, il termine sembra riferirsi alla particolare posizione dell'abitato, margine triangolare dell'alta Brianza protetto dal promontorio di Scioscia. Data l'antichità dell'insediamento sacrale noto ancora a fine Cinquecento con il nome di Canza, posto tra il monte Pesora e il lago del Segrino, non si può peraltro escludere né che la parola Canz faccia riferimento a quel luogo né che l'intero territorio canzese fosse ritenuto particolarmente adatto per le adunanze dei clan.

Le tracce più antiche di colonizzazione umana del territorio canzese risalgono all'ultima fase della glaciazione würmiana, durante il periodo mesolitico (circa 10.000 anni fa). L'accampamento di caccia situato a quota 900 m sul monte Rai (Raj) fu utilizzato durante il periodo estivo, continuativamente fino all'età del bronzo medio.

L'epoca eneolitica (2250 a.C. circa) è segnata dall'importante testimonianza di una triplice tomba a cista con stele, ritrovata in località Büdracch. Si tratta di una sepoltura in cista litica, all'aperto, con la rara presenza anche di tumulo. Le tre cassette lapidee del sito, terminanti in cuspidi, sono infatti formate in parte da muretti a secco, in parte da lastre infitte a coltello, e ricoperte da un tumulo del diametro di nove metri. Nel corredo erano presenti quattro bracciali, monili di varia forma, un pendaglio a doppia spirale – rarissimo in Italia, benché frequentemente rappresentato nelle incisioni – e punte di frecce in selce.

A 200 m dalla sepoltura, sulla riva nordorientale del lago del Segrino, sono state trovate le tracce di un insediamento abitativo coevo, utilizzato anche nella successiva età del bronzo, con case, focolari e terrazzamenti a secco, e oggetti quali olle (scodelle) cilindriche con cordone liscio orizzontale sotto l'orlo e ceramiche con decorazione a Besenstrich (fini striature), ritenuto un tratto di arcaicità proprio della cultura celto-alpina. Tale ritrovamento ebbe un peso importante per la conoscenza delle prime popolazioni stanziali in Brianza.

Sui Corni di Canzo sono stati trovati anche reperti del periodo della seconda immigrazione celtica (IV secolo a.C.), e in tale epoca si colloca anche l'insediamento sul sito dell'attuale centro storico, mentre si deve alla conquista romana il tracciamento delle strade principali per scopi militari e commerciali. Relativamente a questo periodo è stata scoperta una pietra miliare vicino al lago del Segrino, che indicava le distanze lungo la via strata (via lastricata), mentre nel 1822 venne messa alla luce una tomba romana con le sue suppellettili. Da Cantius, nome latino di Canzo, passava la via Mediolanum-Bellasium, che metteva in comunicazione Milano con Bellagio.

Nei secoli dopo la scomparsa dell'Impero Romano, Canzo, in uno stato di marcata autonomia comunale, fece parte dell'area chiamata Martesana dell'arcidiocesi di Milano, e fu, formalmente, infeudata al monastero di Sant'Ambrogio. Il toponimo "Martesana" e del vicino paese di Castelmarte sono stati messi in relazione con il culto del dio Marte e alla presenza di ex legionari. Nel 1162 Federico Barbarossa pose il borgo sotto l'egida del monastero di San Pietro al Monte (sopra Civate). Infine Canzo entrò a far parte dei domini dei Visconti, al cui interno andò delineandosi la Corte di Casale (1403), unione di comuni con a capo Canzo.

Nel 1435, con otto altre pievi e squadre comunali, la Corte costituì l'Universitas Montis Briantiae, aggregazione di comuni con voce di fronte all'autorità ducale, e in particolare di fronte al fisco, «piccola repubblica o, più precisamente, una provincia autonoma nello Stato di Milano». Essa costituisce il territorio della Brianza storica, il nucleo originario a cui si riferisce propriamente il termine "Brianza". Nel 1485 l'Universitas si doterà anche di una propria Banca. Sono anni di grande sviluppo di attività mercantili e artigianali, fioritura di scalpellini, carpentieri, fabbri di altissima capacità tecnica, maestri setaioli, artisti e stampatori apprezzati in tutta l'Italia settentrionale.

Nel 1472 gli Sforza, succeduti ai Visconti nel ducato di Milano, affidarono la Corte di Casale alla ricca famiglia di armaioli dei fratelli Negroni da Missaglia, che avevano richiesto la concessione per la presenza di miniere di ferro. Lo stemma della cosiddetta Cumünanza da Canz (trascurato nel 1861 ma riadottato nel 2002), rappresenta infatti «tre forni all'antica a guisa di alveari, per la fusione del ferro».

Nel 1526 l'esercito spagnolo, in lotta contro il ducato di Milano, occupò Canzo, tenuta dal condottiero di ventura canzese Niccolò Pelliccione (riguardo al quale esistono molti aneddoti leggendari), al soldo del duca Francesco II Sforza. Dopo la morte di questi, Canzo, come tutto il ducato di Milano, passò sotto il dominio spagnolo e successivamente sotto quello austriaco.

Gli spagnoli vi posero un presidio militare, ubicato sulla costa del monte in posizione dominante sul paese, nella località nota come "il Castello". L'occupazione spagnola lasciò in eredità al paese la cerimonia religiosa dell'Entierro, che veniva celebrata ogni Venerdì Santo almeno fino alla prima metà del secolo XIX.

Fino al secolo XVII Canzo era un rinomato centro manifatturiero di tessuti di saia, venduta come saia di Canzo, assieme al cimosone di Canzo, al mercato milanese, questa attività tuttavia decadde a causa delle pesanti tasse imposte dal governo spagnolo. Dopo l'estinzione della famiglia dei Missaglia nel 1667 la Corte di Casale passò ai marchesi Crivelli, che vi introdussero l'industria della seta e alla fine del XVIII secolo le filande attive erano sette, tra cui la Filanda Verza, la terza più grande della Lombardia, e la Filanda Gavazzi, attiva anche in altri paesi con opere filantropiche.

Un decreto di riorganizzazione amministrativa del Regno d'Italia napoleonico datato 1807 sancì l'accorpamento in Canzo dei comuni di Castelmarte, Proserpio, Caslino e Scarenna. Cinque anni dopo, gli ultimi due comuni furono tuttavia spostati nel territorio di Asso. Le decisioni amministrative del periodo napoleonico furono tuttavia abrogate con la Restaurazione.

Dall'edizione del 1868 del Dizionario corografico dell'Italia, il paese aveva una sua compagnia di guardia nazionale di 415 militi, di cui 110 attivi e 305 di riserva e la mobilizzabile era di 12 militi; nel 1863 vi erano 62 elettori politici inscritti nelle liste elettorali del collegio d'Erba, e Canzo faceva sezione elettorale del collegio con 288 elettori in tutto; il paese possedeva una pubblica scuola elementare, un ufficio postale proprio, uffici di verificazione per le imposte dirette, del catasto e di delegazione di pubblica sicurezza con carceri mandamentali; inoltre era sede di una giudicatura di mandamento dipendente dal tribunale di circondario di Lecco. Una delle nuove famiglie di rilievo nella vita del paese, probabilmente originaria di Arcellasco, furono gli Arcellazzi, che espressero benefattori, presidenti della Società di Mutuo Soccorso e Stefano Arcellazzi, giurista, autore di un trattato di diritto penale.

Durante l'Ottocento, Canzo dà all'Italia varie personalità significative, quali Alessandro Duroni, primo sviluppatore della fotografia in Italia e inventore del negativo fotografico. Alessandro Manzoni, la cui suocera era di Canzo, ospitato dai suoi amici, frequenta le ville del paese, dove trae ispirazione per l'intreccio fondamentale del suo romanzo e, dalla vita del santo locale, trae gli elementi stilistici per il suo celebre incipit. Il ritrattista di casa Manzoni, Carlo Gerosa, era anch'egli canzese. Canzo dà in questo secolo i natali anche a Filippo Turati, iniziatore in Italia del socialismo gradualista, espresso poi dal Partito Socialista Italiano, di cui fu il fondatore principale. All'interno del socialismo, il suo pensiero si distingueva per la non automaticità della contrapposizione di classe e per la criticità nei confronti della rivoluzione russa: egli credeva in un parlamentarismo pacifico, collaborante con gli altri partiti, per migliorare le condizioni dei lavoratori.

Accanto a una presenza di villeggianti attenti soprattutto all'ambiente naturale e alla buona socialità, Giovanni Segantini, anch'egli frequentatore della cittadina e dei suoi dintorni, viene colpito anche da alcuni aspetti della vita lavorativa e contadina, ritraendo ad esempio nella tela La raccolta dei bozzoli l'attività serica domestica allora in vigore in tutta la Brianza, ma soprattutto nella Canzo dei Verza e dei Gavazzi.

Giuseppe Parini, nato a Bosisio, quando è ancora ragazzo, viene messo in contatto con l'ambiente culturale milanese – che costituirà il suo trampolino di lancio – dal parroco di Canzo Ambrogio Fioroni, che sarà padre spirituale anche di un frate morto nel convento di Canzo in odore di santità, Giuseppe Longhi.

Nella seconda metà del Settecento, Canzo viene descritta come un'area di produzione di buon vino e ricca di colture: gelsi, mandorli, vitigni, cereali produttivi più volte l'anno. Il defluvio delle acque è ben gestito, a beneficio sia dell'agricoltura sia dell'artigianato. I terreni hanno un valore elevato: circa 400-500 lire milanesi a pertica. In paese vi sono produttori e commercianti di strumenti di precisione e si tratta tutta la filiera della seta; si fa anche filatura di lino, e si produce un tipico panno di lana. Vi è anche un opificio di seta di alta qualità, che produce stoffa rossa cardinalizia. Si vende carbone di legna a Milano, dalla quale si compra il riso.

Nel 1786, nell'ambito della riorganizzazione del territorio, Canzo fu unito alla nuova provincia di Como. Nei secoli XVIII e XIX, fu capoluogo del distretto decimoterzo. La sua economia si poggiava su alcuni punti di forza: i vigneti impiantati sui pendii (Canzo produceva un buon vino), i castagni, la coltura dei gelsi (necessaria alla nutrizione dei bachi da seta), la presenza di molti pascoli con mandrie sparse, le filande e i filatoi.

Un altro canzese, Magno Magni, è fondatore dell'Unione concimi, prima azienda italiana a dedicarsi alla chimica e per decenni protagonista di monopolio, che sarebbe confluita nella Montecatini, trasformandola da azienda di estrazione mineraria in azienda prevalentemente chimica, ponendo così le basi per l'introduzione della plastica commerciale (1955), sviluppata da Giulio Natta, brianzolo d'adozione, proprio all'interno di questa azienda, e che gli meriterà il Premio Nobel per la chimica.

Nel 1908 nasce a Canzo dalla famiglia di san Miro Angelo Paredi, che sarebbe divenuto – oltre che Prefetto della Biblioteca Ambrosiana per quasi vent'anni – uno dei più importanti studiosi al mondo sulla figura di sant'Ambrogio, di cui mise in luce soprattutto la straordinaria forza e abilità politica. La sua biografia del santo vescovo, tradotta in inglese con il titolo "Saint Ambrose, his life and times" (1964), divenne uno dei principali punti di riferimento per gli studi santambrosiani.

I primi anni del Novecento, con la conclusione della ferrovia Milano-Asso (che si aggiunge alla Strada di Niguarda), vedono confermarsi il legame con la città di Milano, per i cui abitanti Canzo è una meta obbligata di villeggiatura già da fine Settecento (secolo a cui risalgono numerose ville neoclassiche e il Teatro Sociale). Tutt'oggi il legame con il capoluogo lombardo è molto forte, grazie al perdurare del turismo, nonché al fatto che Canzo, pur essendo in provincia di Como, appartiene all'arcidiocesi di Milano e al rito ambrosiano.

In questo secolo, la secolare tradizione siderurgica di Canzo si riversò nella fabbricazione di forbici, di cui Canzo divenne importante centro, benché fino alla metà del secolo l'economia prevalente fosse quella agricola. Il parchetto-piazzetta Turati dal 2007 presenta un "angolo del lavoro", finalizzato a rievocare questo importante settore della storia produttiva canzese.

Durante la seconda guerra mondiale, molte famiglie milanesi vi furono sfollate, e in paese vennero acquartierati un gruppo di SS italiane, presso l'asilo e un gruppo di truppe tedesche con il comando installato presso la "Villa Rizzoli". Attività partigiane vennero svolte sui monti, attorno ai Corni, dove i sentieri, precedentemente usati dai contrabbandieri furono utilizzati per aiutare prigionieri alleati fuggiti dal campo di concentramento di Grumello del Piano a rifugiarsi in Svizzera. Sul finire della guerra, cinque ex-soldati di montagna appartenenti alla "43ª Divisione Alpina Autonoma", inquadrata nella Resistenza – Oscar Bottoni, Francesco Pellegrino, A. Deana, D. Pittari ed E. Quaranta – furono catturati e fucilati con l'accusa di diserzione il 21 marzo 1945. Un altro di essi, Giuseppe Mondello, subì la medesima sorte il 13 aprile 1945, dodici giorni prima della fine della guerra.

Una personalità di rilievo della storia novecentesca del borgo di Canzo è stata Orlando Prina, già appartenente a una famiglia locale della bassa nobiltà (Prina-Crivelli). Ritornato a Canzo dalla campagna di Grecia come ufficiale alpino, visse in clandestinità insieme alla madre vedova, collaborando con Giancarlo Puecher, Remo Sordo e altre personalità della Resistenza lombarda. Divenuto delegato del CNLAI per il territorio di Canzo, costituì dapprima un comitato comunale formato dalle personalità di spicco del mondo partigiano locale e successivamente la Giunta clandestina che, composta da un rappresentante per ogni componente politica dell'arco costituzionale (ante litteram), organizzò la transizione istituzionale che avvenne il 25 aprile del 1945, quando le SS italiane abbandonarono la sede di Canzo.

Nel dopoguerra, Orlando Prina fu il principale artefice dell'assetto associazionista tipico del comune di Canzo, dove il comune ha come importante organo consultivo la Tavola rotonda delle Associazioni. In particolare fu il precursore delle associazioni pro-loco divenendo il primo segretario dell'Azienda di Turismo nel periodo d'oro della villeggiatura degli anni sessanta e settanta; fu il rifondatore del Gruppo Alpini Canzo, fondatore dell'Associazione Cacciatori (che sotto la sua presidenza diede vita all'importante fiera ornitologica di Canzo, ispiratrice di altre fiere dello stesso genere) e dell'Associazione Pescatori Lago del Segrino, a capo della quale promosse importanti battaglie ambientali. Fu ininterrottamente assessore dalla transizione istituzionale al 1985.

Nel settore dell'artigianato Canzo è rinomata per la produzione di forbici, al punto che un quarto delle località produttive in Italia, già dagli anni trenta, si trova nel distretto di Canzo. Nel 1993 fece scalpore l'uccisione, durante la guerra bosniaca, del volontario di pace canzese, di ispirazione cattolica, Gabriele Moreno Locatelli, a cui una petizione popolare degli abitanti di Sarajevo ottenne di dedicare una via della città.


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