Lago di Segrino itinerario turistico
Villa e parco Magni location per eventi visitabile con il Fai in determinati periodi
Basilica prepositurale plebana di Santo Stefano protomartire
Detta anche Gésa granda, è la chiesa prepositurale. L'edificazione ebbe inizio nel 1728 sul luogo di una precedente costruzione, attestata dal 1398 in un documento testimoniante l'autonomia della parrocchia, dedicata allo stesso santo e già dotata nel 1574, durante la visita pastorale di San Carlo, dei cinque altari attuali. La Basilica è stata eretta Prepositura, col titolo di Basilica Prepositurale Plebana, con decreto ad perpetuam memoriam in data 21 aprile 1899 da papa Leone XIII il quale concesse "Non ad Personam sed pro Tempore" il Titolo di Prevosto. Il sagrato è in granito, decorato a intarsio; in passato era acciottolato. L'edificio, tradizionalmente definito "basilica" pur non essendolo ufficialmente, è in stile barocco classico e possiede un alto campanile angolare, a destra, con tetto in bronzo (il progetto del 1818, dell'architetto Bovara, ne prevedeva due). La facciata è parzialmente, come i lati lunghi della chiesa, dipinta di un giallo tenue; presenta un portone principali e due portoni laterali.
Chiesa di San Francesco e Beato Miro
Detta anche Gésa da San Mirètt, dal nome del secondo dedicatario, utilizzando il diminutivo per distinguerla da quella propriamente di San Mir (il santuario-eremo). È una chiesa conventuale e si trova in piazza San Francesco, ed è affiancata dalla casa del prete, un tempo ambulatorio; nella piazza si trovano inoltre due cuurt (di Pinòla e di Meroni), una fontanella (servita dall'acquedotto e sormontata da un'altra fontana, da cui sgorga una parte dell'acqua di Gajum) situata in una nicchia delle pittoresche mura di Villa Meda, che ha un proprio arco di ingresso su piazza San Francesco, arricchito da una pregiata lunetta in ferro battuto e da un grande affresco. Il sagrato è in porfido, come del resto tutta la piazza, e presenta una scalinata. L'insediamento del complesso conventuale risale alla fine del Trecento, ed era inizialmente dedicato alla Vergine, mentre successivamente, forse nel Quattrocento, fu consacrato a San Miro. Nella prima metà del Settecento furono svolti lavori di consolidamento e ampliamento, mentre la fine del secolo vide la fine della presenza dei Frati Minori, e quindi il passaggio dell'indulgenza del Perdon d'Assisi alla parrocchiale. Agli inizi dell'Ottocento, con il lascito del prevosto don Angelo Sala e il contributo di Giovan Battista Gavazzi, il convento venne trasformato in Ospedale Civile per divenire poi, dalla prima guerra mondiale agli anni settanta, casa di riposo; nel frattempo la chiesa assunse la denominazione di san Francesco, anche se nella memoria della popolazione rimane la dedicazione a san Miro. Successivamente, dopo un restauro conservativo, la chiesa assunse, per volontà della Curia Arcivescovile, la funzione di Oasi monastica. L’avvicinamento in macchina è molto comodo. Raggiunto Canzo si può lasciare la vettura in uno dei numerosi parcheggi disponibili in paese. Nei giorni infrasettimanali si può arrivare fino alle fonti di Gajum attraverso un breve tratto di strada di montagna che non presenta nessuna difficoltà.
Cappella di San Michele - Lazzaretto
La villa è opera dell'architetto Simone Cantoni di Muggio, che trasformò e ingrandì la preesistente residenza dei conti Meda, con interventi di stile neoclassico. Il progetto si protrasse dal 1795 al 1804, quando il lavoro fu portato a termine dal monsignore fratello del conte. L'architetto dispose i locali di rappresentanza attorno ai cortili interni e le parti abitate a contatto col giardino all'italiana e con l'ambiente agreste raggiungibile sull'altra sponda del torrente Ravella tramite un ampio ponte interno al perimetro della villa.
L'edificio venne usato nel XX secolo come colonia estiva per le Stelline e poi, durante la seconda guerra mondiale come caserma, ospitando le SS italiane arruolate presso le carceri milanesi; è stato restaurato per un utilizzo misto privato, sale pubbliche e stanze date in gestione alle locali associazioni; vi ha sede la biblioteca civica.
Palazzo Tentorio fu acquistato dall'omonima famiglia canzese nel 1706, anno in cui il territorio di Milano, di cui Canzo faceva parte, passava di mano dagli spagnoli agli austriaci. La ricchezza dei Tentorio si fondava sul commercio dei panni di lana, attività iniziata nel 1649 da Carlo Tentorio, disinvolto commerciante che aveva raggiunto una posizione di competitività aggirando i pesanti gravami della burocrazia spagnola. La famiglia contribuì economicamente in maniera significativa alla trasformazione settecentesca della chiesa prepositurale di Canzo, consacrata il 3 giugno 1752. La proprietà del palazzo rimase ai Tentorio per oltre un secolo: il 15 settembre 1828 lo stabile e le sue pertinenze furono acquistate dai fratelli Giovanni Maria, Benedetto e Venanzio Gavazzi, antica famiglia canzese in quegli anni impegnata nello sviluppo dell'industria serica, mentre nel 1889, il giorno di san Martino, il palazzo fu acquistato dal Comune per alloggiarvi la scuola; successivamente ospitò anche, e per più di un secolo, gli uffici comunali. Nel 1999 cominciarono i lavori di ristrutturazione e ampliamento, su progetto selezionato tramite concorso di idee, che portarono, oltre al restauro dell'antico Palazzo, alla creazione di una struttura moderna a forma di torrione, a mo' di novello broletto, simbolo dell'autonomia comunale. Dal 7 dicembre 2002, Palazzo Tentorio ospita l'ufficio e la segreteria del Sindaco, la sala Giunta e un'ampia area espositiva, collocata al secondo piano.
Siti archeologici
A Canzo la celebrazione è particolarmente articolata, con molti personaggi simbolici appartenenti alla tradizione pagana celtica.
La festa è inoltre arricchita da vestiti tradizionali e da suggestivi addobbi in tutto il paesello, tra cui la caratteristica “gamba rusa” (gamba rossa) della Giubiana.
Dopo l’approvazione da parte dei pompieri, il processo si conclude con la sentenza dei Regiuu, ovvero gli anziani autorevoli del paese.
Tra i personaggi principali che percorrono il centro storico troviamo:
- Giubiana – la vecchia che rappresenta tutti i mali dell’anno passato
- Anguana – la fata acquatica proveniente dal Cèpp da l’Angua
- Ul Cervùn – il cervo gigante, che riprende la figura di Cernunnos nella mitologia celtica
- L’Òmm Selvadech – l’uomo selvatico, personaggio della mitologia alpina
- L’Urzu – l’orso che esce dalla tana alla Cròta dal Bavèsc, simbolo della forza istintiva che deve essere domata
- Ul Casciadùr – il cacciatore, che doma e fa ballare l’orso
- I Diaul – i diavoli che cantano l’ode alla Giubiana
- Il Bòja – il boia, che rappresenta la condanna del male
- I Cilòstar – coloro che reggono i candelabri incappucciati, che simboleggiano la luce che vince il Male
- I Strij picitt – le streghe che fanno paura ai bambini e cercano di salvare la loro compagna Giubiana
- I Bun e i Gramm – i buoni e cattivi, ossia bambini vestiti di bianco e di nero, tinti in volto, che con il suono delle campanelle e con il rumore delle latte invitano le forze del bene e scacciano il maligno
- Barbanégra – l’indovino del paese
- Ul Pastùr – il rappresentante in maschera del mestiere pastorizio
- Ul Buschiröö – il boscaiolo
- L’Aucatt di caus pèrs – l’avvocato delle cause perse, quello venuto dal foro di Milano per difendere la Giubiana
- La Cumàr da la Cuntrada – l’amica della Giubiana che legge il suo testamento
- I Pumpiér – i pompieri in bicicletta, in costume storico e con la pompa anti-incendio originale dell’Ottocento
- Gli Scarenèj – i rappresentanti della vicina campagna di Scarenna, legata storicamente con i contadini canzesi
- Ul Carètt di paisàn – il carretto dei contadini (paesani), sul quale viaggia la Giubiana portata al rogo
STORIA
Il toponimo Canz, reso in latino con Cantius, è un vocabolo celtico collegato al gallico canto-, dal significato di "margine, lembo, appendice, bordo, contorno, angolo". La radice proto-celtica da cui deriva potrebbe essere *kanti ("insieme") oppure *kanxtu ("aratro"). Nel primo caso, verrebbe evocato anche il concetto di "adunanza popolare convocata su un colle circolare"; nel secondo caso, invece, sarebbero forse implicati i concetti di "lama" e "spigolo". In ogni caso, il termine sembra riferirsi alla particolare posizione dell'abitato, margine triangolare dell'alta Brianza protetto dal promontorio di Scioscia. Data l'antichità dell'insediamento sacrale noto ancora a fine Cinquecento con il nome di Canza, posto tra il monte Pesora e il lago del Segrino, non si può peraltro escludere né che la parola Canz faccia riferimento a quel luogo né che l'intero territorio canzese fosse ritenuto particolarmente adatto per le adunanze dei clan.
Le tracce più antiche di colonizzazione umana del territorio canzese risalgono all'ultima fase della glaciazione würmiana, durante il periodo mesolitico (circa 10.000 anni fa). L'accampamento di caccia situato a quota 900 m sul monte Rai (Raj) fu utilizzato durante il periodo estivo, continuativamente fino all'età del bronzo medio.
L'epoca eneolitica (2250 a.C. circa) è segnata dall'importante testimonianza di una triplice tomba a cista con stele, ritrovata in località Büdracch. Si tratta di una sepoltura in cista litica, all'aperto, con la rara presenza anche di tumulo. Le tre cassette lapidee del sito, terminanti in cuspidi, sono infatti formate in parte da muretti a secco, in parte da lastre infitte a coltello, e ricoperte da un tumulo del diametro di nove metri. Nel corredo erano presenti quattro bracciali, monili di varia forma, un pendaglio a doppia spirale – rarissimo in Italia, benché frequentemente rappresentato nelle incisioni – e punte di frecce in selce.
A 200 m dalla sepoltura, sulla riva nordorientale del lago del Segrino, sono state trovate le tracce di un insediamento abitativo coevo, utilizzato anche nella successiva età del bronzo, con case, focolari e terrazzamenti a secco, e oggetti quali olle (scodelle) cilindriche con cordone liscio orizzontale sotto l'orlo e ceramiche con decorazione a Besenstrich (fini striature), ritenuto un tratto di arcaicità proprio della cultura celto-alpina. Tale ritrovamento ebbe un peso importante per la conoscenza delle prime popolazioni stanziali in Brianza.
Sui Corni di Canzo sono stati trovati anche reperti del periodo della seconda immigrazione celtica (IV secolo a.C.), e in tale epoca si colloca anche l'insediamento sul sito dell'attuale centro storico, mentre si deve alla conquista romana il tracciamento delle strade principali per scopi militari e commerciali. Relativamente a questo periodo è stata scoperta una pietra miliare vicino al lago del Segrino, che indicava le distanze lungo la via strata (via lastricata), mentre nel 1822 venne messa alla luce una tomba romana con le sue suppellettili. Da Cantius, nome latino di Canzo, passava la via Mediolanum-Bellasium, che metteva in comunicazione Milano con Bellagio.
Nei secoli dopo la scomparsa dell'Impero Romano, Canzo, in uno stato di marcata autonomia comunale, fece parte dell'area chiamata Martesana dell'arcidiocesi di Milano, e fu, formalmente, infeudata al monastero di Sant'Ambrogio. Il toponimo "Martesana" e del vicino paese di Castelmarte sono stati messi in relazione con il culto del dio Marte e alla presenza di ex legionari. Nel 1162 Federico Barbarossa pose il borgo sotto l'egida del monastero di San Pietro al Monte (sopra Civate). Infine Canzo entrò a far parte dei domini dei Visconti, al cui interno andò delineandosi la Corte di Casale (1403), unione di comuni con a capo Canzo.
Nel 1435, con otto altre pievi e squadre comunali, la Corte costituì l'Universitas Montis Briantiae, aggregazione di comuni con voce di fronte all'autorità ducale, e in particolare di fronte al fisco, «piccola repubblica o, più precisamente, una provincia autonoma nello Stato di Milano». Essa costituisce il territorio della Brianza storica, il nucleo originario a cui si riferisce propriamente il termine "Brianza". Nel 1485 l'Universitas si doterà anche di una propria Banca. Sono anni di grande sviluppo di attività mercantili e artigianali, fioritura di scalpellini, carpentieri, fabbri di altissima capacità tecnica, maestri setaioli, artisti e stampatori apprezzati in tutta l'Italia settentrionale.
Nel 1472 gli Sforza, succeduti ai Visconti nel ducato di Milano, affidarono la Corte di Casale alla ricca famiglia di armaioli dei fratelli Negroni da Missaglia, che avevano richiesto la concessione per la presenza di miniere di ferro. Lo stemma della cosiddetta Cumünanza da Canz (trascurato nel 1861 ma riadottato nel 2002), rappresenta infatti «tre forni all'antica a guisa di alveari, per la fusione del ferro».
Nel 1526 l'esercito spagnolo, in lotta contro il ducato di Milano, occupò Canzo, tenuta dal condottiero di ventura canzese Niccolò Pelliccione (riguardo al quale esistono molti aneddoti leggendari), al soldo del duca Francesco II Sforza. Dopo la morte di questi, Canzo, come tutto il ducato di Milano, passò sotto il dominio spagnolo e successivamente sotto quello austriaco.
Gli spagnoli vi posero un presidio militare, ubicato sulla costa del monte in posizione dominante sul paese, nella località nota come "il Castello". L'occupazione spagnola lasciò in eredità al paese la cerimonia religiosa dell'Entierro, che veniva celebrata ogni Venerdì Santo almeno fino alla prima metà del secolo XIX.
Fino al secolo XVII Canzo era un rinomato centro manifatturiero di tessuti di saia, venduta come saia di Canzo, assieme al cimosone di Canzo, al mercato milanese, questa attività tuttavia decadde a causa delle pesanti tasse imposte dal governo spagnolo. Dopo l'estinzione della famiglia dei Missaglia nel 1667 la Corte di Casale passò ai marchesi Crivelli, che vi introdussero l'industria della seta e alla fine del XVIII secolo le filande attive erano sette, tra cui la Filanda Verza, la terza più grande della Lombardia, e la Filanda Gavazzi, attiva anche in altri paesi con opere filantropiche.
Un decreto di riorganizzazione amministrativa del Regno d'Italia napoleonico datato 1807 sancì l'accorpamento in Canzo dei comuni di Castelmarte, Proserpio, Caslino e Scarenna. Cinque anni dopo, gli ultimi due comuni furono tuttavia spostati nel territorio di Asso. Le decisioni amministrative del periodo napoleonico furono tuttavia abrogate con la Restaurazione.
Dall'edizione del 1868 del Dizionario corografico dell'Italia, il paese aveva una sua compagnia di guardia nazionale di 415 militi, di cui 110 attivi e 305 di riserva e la mobilizzabile era di 12 militi; nel 1863 vi erano 62 elettori politici inscritti nelle liste elettorali del collegio d'Erba, e Canzo faceva sezione elettorale del collegio con 288 elettori in tutto; il paese possedeva una pubblica scuola elementare, un ufficio postale proprio, uffici di verificazione per le imposte dirette, del catasto e di delegazione di pubblica sicurezza con carceri mandamentali; inoltre era sede di una giudicatura di mandamento dipendente dal tribunale di circondario di Lecco. Una delle nuove famiglie di rilievo nella vita del paese, probabilmente originaria di Arcellasco, furono gli Arcellazzi, che espressero benefattori, presidenti della Società di Mutuo Soccorso e Stefano Arcellazzi, giurista, autore di un trattato di diritto penale.
Durante l'Ottocento, Canzo dà all'Italia varie personalità significative, quali Alessandro Duroni, primo sviluppatore della fotografia in Italia e inventore del negativo fotografico. Alessandro Manzoni, la cui suocera era di Canzo, ospitato dai suoi amici, frequenta le ville del paese, dove trae ispirazione per l'intreccio fondamentale del suo romanzo e, dalla vita del santo locale, trae gli elementi stilistici per il suo celebre incipit. Il ritrattista di casa Manzoni, Carlo Gerosa, era anch'egli canzese. Canzo dà in questo secolo i natali anche a Filippo Turati, iniziatore in Italia del socialismo gradualista, espresso poi dal Partito Socialista Italiano, di cui fu il fondatore principale. All'interno del socialismo, il suo pensiero si distingueva per la non automaticità della contrapposizione di classe e per la criticità nei confronti della rivoluzione russa: egli credeva in un parlamentarismo pacifico, collaborante con gli altri partiti, per migliorare le condizioni dei lavoratori.
Accanto a una presenza di villeggianti attenti soprattutto all'ambiente naturale e alla buona socialità, Giovanni Segantini, anch'egli frequentatore della cittadina e dei suoi dintorni, viene colpito anche da alcuni aspetti della vita lavorativa e contadina, ritraendo ad esempio nella tela La raccolta dei bozzoli l'attività serica domestica allora in vigore in tutta la Brianza, ma soprattutto nella Canzo dei Verza e dei Gavazzi.
Giuseppe Parini, nato a Bosisio, quando è ancora ragazzo, viene messo in contatto con l'ambiente culturale milanese – che costituirà il suo trampolino di lancio – dal parroco di Canzo Ambrogio Fioroni, che sarà padre spirituale anche di un frate morto nel convento di Canzo in odore di santità, Giuseppe Longhi.
Nella seconda metà del Settecento, Canzo viene descritta come un'area di produzione di buon vino e ricca di colture: gelsi, mandorli, vitigni, cereali produttivi più volte l'anno. Il defluvio delle acque è ben gestito, a beneficio sia dell'agricoltura sia dell'artigianato. I terreni hanno un valore elevato: circa 400-500 lire milanesi a pertica. In paese vi sono produttori e commercianti di strumenti di precisione e si tratta tutta la filiera della seta; si fa anche filatura di lino, e si produce un tipico panno di lana. Vi è anche un opificio di seta di alta qualità, che produce stoffa rossa cardinalizia. Si vende carbone di legna a Milano, dalla quale si compra il riso.
Nel 1786, nell'ambito della riorganizzazione del territorio, Canzo fu unito alla nuova provincia di Como. Nei secoli XVIII e XIX, fu capoluogo del distretto decimoterzo. La sua economia si poggiava su alcuni punti di forza: i vigneti impiantati sui pendii (Canzo produceva un buon vino), i castagni, la coltura dei gelsi (necessaria alla nutrizione dei bachi da seta), la presenza di molti pascoli con mandrie sparse, le filande e i filatoi.
Un altro canzese, Magno Magni, è fondatore dell'Unione concimi, prima azienda italiana a dedicarsi alla chimica e per decenni protagonista di monopolio, che sarebbe confluita nella Montecatini, trasformandola da azienda di estrazione mineraria in azienda prevalentemente chimica, ponendo così le basi per l'introduzione della plastica commerciale (1955), sviluppata da Giulio Natta, brianzolo d'adozione, proprio all'interno di questa azienda, e che gli meriterà il Premio Nobel per la chimica.
Nel 1908 nasce a Canzo dalla famiglia di san Miro Angelo Paredi, che sarebbe divenuto – oltre che Prefetto della Biblioteca Ambrosiana per quasi vent'anni – uno dei più importanti studiosi al mondo sulla figura di sant'Ambrogio, di cui mise in luce soprattutto la straordinaria forza e abilità politica. La sua biografia del santo vescovo, tradotta in inglese con il titolo "Saint Ambrose, his life and times" (1964), divenne uno dei principali punti di riferimento per gli studi santambrosiani.
I primi anni del Novecento, con la conclusione della ferrovia Milano-Asso (che si aggiunge alla Strada di Niguarda), vedono confermarsi il legame con la città di Milano, per i cui abitanti Canzo è una meta obbligata di villeggiatura già da fine Settecento (secolo a cui risalgono numerose ville neoclassiche e il Teatro Sociale). Tutt'oggi il legame con il capoluogo lombardo è molto forte, grazie al perdurare del turismo, nonché al fatto che Canzo, pur essendo in provincia di Como, appartiene all'arcidiocesi di Milano e al rito ambrosiano.
In questo secolo, la secolare tradizione siderurgica di Canzo si riversò nella fabbricazione di forbici, di cui Canzo divenne importante centro, benché fino alla metà del secolo l'economia prevalente fosse quella agricola. Il parchetto-piazzetta Turati dal 2007 presenta un "angolo del lavoro", finalizzato a rievocare questo importante settore della storia produttiva canzese.
Durante la seconda guerra mondiale, molte famiglie milanesi vi furono sfollate, e in paese vennero acquartierati un gruppo di SS italiane, presso l'asilo e un gruppo di truppe tedesche con il comando installato presso la "Villa Rizzoli". Attività partigiane vennero svolte sui monti, attorno ai Corni, dove i sentieri, precedentemente usati dai contrabbandieri furono utilizzati per aiutare prigionieri alleati fuggiti dal campo di concentramento di Grumello del Piano a rifugiarsi in Svizzera. Sul finire della guerra, cinque ex-soldati di montagna appartenenti alla "43ª Divisione Alpina Autonoma", inquadrata nella Resistenza – Oscar Bottoni, Francesco Pellegrino, A. Deana, D. Pittari ed E. Quaranta – furono catturati e fucilati con l'accusa di diserzione il 21 marzo 1945. Un altro di essi, Giuseppe Mondello, subì la medesima sorte il 13 aprile 1945, dodici giorni prima della fine della guerra.
Una personalità di rilievo della storia novecentesca del borgo di Canzo è stata Orlando Prina, già appartenente a una famiglia locale della bassa nobiltà (Prina-Crivelli). Ritornato a Canzo dalla campagna di Grecia come ufficiale alpino, visse in clandestinità insieme alla madre vedova, collaborando con Giancarlo Puecher, Remo Sordo e altre personalità della Resistenza lombarda. Divenuto delegato del CNLAI per il territorio di Canzo, costituì dapprima un comitato comunale formato dalle personalità di spicco del mondo partigiano locale e successivamente la Giunta clandestina che, composta da un rappresentante per ogni componente politica dell'arco costituzionale (ante litteram), organizzò la transizione istituzionale che avvenne il 25 aprile del 1945, quando le SS italiane abbandonarono la sede di Canzo.
Nel dopoguerra, Orlando Prina fu il principale artefice dell'assetto associazionista tipico del comune di Canzo, dove il comune ha come importante organo consultivo la Tavola rotonda delle Associazioni. In particolare fu il precursore delle associazioni pro-loco divenendo il primo segretario dell'Azienda di Turismo nel periodo d'oro della villeggiatura degli anni sessanta e settanta; fu il rifondatore del Gruppo Alpini Canzo, fondatore dell'Associazione Cacciatori (che sotto la sua presidenza diede vita all'importante fiera ornitologica di Canzo, ispiratrice di altre fiere dello stesso genere) e dell'Associazione Pescatori Lago del Segrino, a capo della quale promosse importanti battaglie ambientali. Fu ininterrottamente assessore dalla transizione istituzionale al 1985.
Nel settore dell'artigianato Canzo è rinomata per la produzione di forbici, al punto che un quarto delle località produttive in Italia, già dagli anni trenta, si trova nel distretto di Canzo. Nel 1993 fece scalpore l'uccisione, durante la guerra bosniaca, del volontario di pace canzese, di ispirazione cattolica, Gabriele Moreno Locatelli, a cui una petizione popolare degli abitanti di Sarajevo ottenne di dedicare una via della città.
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