Chiesa di Santa Maria Assunta
Secondo il racconto della costruzione della Chiesa di S. Maria Assunta redatto nel 1852 da don Antonio Tredici, parroco di Golasecca dal 1831 al 1873, la nuova chiesa, resasi necessaria per ospitare l'intera popolazione, venne costruita in meno di tre anni, e venne completata il 16 dicembre 1849. Anche la piazza subì un mutamento: per costruire la nuova chiesa fu demolito il vecchio tempio e scavata la collinetta su cui sorgeva, in modo da costruirvi una scalinata di accesso e dare più spazio al piazzale. Contemporaneamente vennero eretti i muretti dei “giardinetti” creando così l'attuale Piazza I Maggio. L'edificio è abbellito da alcuni dipinti di Luigi Tagliaferri come lo sposalizio di Maria e l'assunzione della Vergine; altri quadri degni di nota sono la Crocefissione di San Pietro di autore Caravaggesco, la Natività e la deposizione del Cristo, tutti di proprietà della Pinacoteca di Brera. In chiesa sono inoltre presenti altre opere d'arte provenienti dall'antica chiesa di San Michele come il pulpito il legno, un quadro di San Carlo al Lazzaretto e la Purificazione della Madonna attribuibile a Ercole Procaccini il Giovane. Magnifico è l'altare in marmo policromo dedicato alla Madonna del Rosario.
Attorno al XII secolo il castello fu distrutto per dar spazio al nuovo edificio di culto dedicato a San Michele. Della struttura antica rimangono le pareti laterali decorate con archetti di cotto, alcuni dei quali sopravvissuti sul lato nord vicino al campanile, mentre l'abside si suppone fosse situata sul versante di ponente in posizione quindi opposta a quella attuale. Nel XVI secolo vennero erette le cappelle laterali dedicate a San Carlo e alla “Purificazione della Beata Vergine Maria”, antica festa patronale di Golasecca; i dipinti che si trovavano nelle cappelle, sono ora custoditi nella chiesa di santa Maria. Nel secolo successivo fu eretto il campanile in stile piemontese (in precedenza vi era un campanile a vela proprio sopra l'abside), la facciata con il porticato e l'ossario laterale chiamato “casa dei morti” con una splendida finestra in granito per pregare i defunti. La zona circostante all'edificio era destinata a cimitero. La chiesa conteneva degli affreschi del XV secolo, come la “Crocifissione con la Madonna e san Giovanni” visibile fino a pochi anni fa; gli affreschi di San Michele e Sant'Ambrogio sono oggi custoditi nell'attuale chiesa parrocchiale. Sopra la cappella della Madonna è oggi possibile rintracciare uno stemma araldico appartenente a una famiglia nobiliare.
San Michele è stata chiesa parrocchiale fino al 1570 e successivamente è stata retta da confraternite denominate in varie epoche “dei Disciplinati”, “dei Morti” o “dei S.S. Sacramenti”. nel 1570 Carlo Borromeo la declassò a semplice sussidiaria della chiesa di Santa Maria in quanto amministrata dalla potente confraternita degli Umiliati a lui ostili. Gli Umiliati di Golasecca avevano sede nel convento posto di fronte alla chiesa di san Michele. Il muro di cinta di settentrione era decorato con cappelle della Via Crucis, con archi posti all'inizio ed alla fine del sentiero in ciottolato. In mezzo vi fu collocata una colonna a ringraziamento per la fine delle pestilenze. Nel 1927 la chiesa fu ristrutturata, costruendo l'attuale portico di entrata, il lavatoio pubblico e piantando i tigli a ricordo dei morti della Prima guerra mondiale, costituendo il Parco delle Rimembranze.
Oggi la chiesa si trova in uno stato di forte degrado.
Chiesa di San Rocco
Risalente al XIV secolo, custodisce la statua lignea del santo che ogni anno viene portata in processione per le vie del paese in ricordo di un voto fatto dalla popolazione di Golasecca nel 1817, per placare l'epidemia di tifo che imperversava nel paese. Grazie alle opere di restauro del 1987-88, tornarono a splendere diversi affreschi risalenti tra il XIV e l'inizio del XVI secolo come San Rocco, San Sebastiano, i santi Cosma e Damiano; da ammirare la Madonna affrescata a lato dell'abside e lo stemma dei Visconti con i leoni correnti (simbolo di pace) anziché ruggenti.
Chiesa del Lazzaretto
Realizzata durante il periodo della famosa peste di Manzoniana memoria e dedicato ai santi Simone e Giuda. Al suo interno vi sono ancora alcune stampelle appartenute agli appestati. Ospita inoltre la statua del Cristo Morto che secondo la tradizione fu abbandonata a bordo di una barca e portata dalla corrente del Ticino, fino alla spiaggia della Melissa.
Chiesa di Santa Maria degli Angeli
Risalente anch'essa al XV secolo, ma originariamente dedicata a Santa Caterina, fu successivamente ampliata abbellita con un piccolo campanile e con un affresco raffigurante la fuga in Egitto della Sacra Famiglia.
Chiesa di San Pietro al Pescatore
La peschiera del Cimìlin
È inevitabile, quando si parla di Golasecca, fare riferimento ad un periodo storico molto lontano da noi, periodo durante il quale fiorì una cultura molto sviluppata per quei tempi, e di cui rimangono, a tutt'oggi, importanti testimonianze, sia sulle colline che si sviluppano lungo la valle del Ticino (sommità del Monsorino), sia in alcuni musei della zona.
Va detto subito che Golasecca in dialetto si chiama ancora "Uraséa" o "Uraseica" e che questi nomi, che derivano dalla radice "our", sono preceltici, probabilmente di origine iberica o mediterranea, e indicano le acque fluviali. Inoltre si può tranquillamente affermare che la storia di Golasecca si può ricostruire più dalla lettura dei reperti archeologici che dalle fonti di archivio.
Quella che fiorì in età protostorica era una cultura che rappresentava, in ambito subalpino, l'ultima espressione della civiltà centro-europea dei campi d'urne, compresa fra l'età del bronzo recente (1300 a.C.) e l'età del bronzo finale (1200-800 a.C.). I campi d'urne erano campi prescelti come necropoli di individui cremati, i cui resti ossei erano depositati in urne, solitamente di terracotta, sistemate a breve distanza l'una dall'altra.
La cultura di Golasecca viene cronologicamente divisa in tre periodi: i primi due vanno dall'VIII secolo alla prima metà del V secolo a.C., il terzo coincide con la cultura La Tène A-B della seconda età del ferro e arriva fino al III secolo a.C. Le prime testimonianze archeologiche risalgono però all'età del bronzo finale (IX secolo), anche se le incisioni rupestri di Sesto Calende sono probabilmente più antiche e ascrivibili ad un substrato locale preceltico.
La cultura di Golasecca rappresenta la prima forma evoluta di un mondo artigianale nel quale sono già presenti alcuni caratteri delle società storiche, come ad esempio l'uso specializzato dei materiali e la volontà dell'uomo di adeguare il territorio alle proprie esigenze. Con la scoperta dei metalli non solo si erano costruiti nuovi strumenti ma era cambiato anche il rito funebre, cosicché al rito inumatorio ispirato al culto della madre terra era subentrato il rito crematorio determinato anche dalla religione solare.
Gli studi sulla cultura di Golasecca hanno visto protagonisti numerosi esperti, a partire dal primo, l'abate Giovan Battista Giani nel 1824, per proseguire con il De Mortillet, il Castelfranco, il Bertolone, il Rittatore Vonwiller, l'architetto Angelo Mira Bonomi, il quale ha analizzato in maniera approfondita l'evoluzione della cultura di Golasecca, dai suoi antecedenti all'invasione gallica e alla dominazione romana.
Le ricerche effettuate sull'insediamento, il restauro dei monumenti sepolcrali del primo periodo al Monsorino, la scoperta dell'abitato con lo scavo di alcuni fondi di capanna e il successivo studio dei reperti, l'analisi dei corredi delle sepolture, la lettura della loro stratigrafia orizzontale, dei sistemi di costruzione delle tombe e della capanne, hanno reso possibile riflettere e valutare quale fosse il tipo di vita e di organizzazione sociale di questa gente.
Quelli che possiamo ammirare dalla sommità del Monsorino, suddivisi in tre settori, sono i monumenti del primo periodo della cultura di Golasecca (750-600 a.C.), tra i più antichi d'Italia: essi rappresentano i reperti più qualificanti di questa interessante comunità e certamente gli unici pervenuti pressoché intatti dopo la distruzione e la dispersione dei reperti, operata soprattutto in questo ultimo arco di secolo.
Le ricerche ed il restauro di liberazione dal terreno dei monumenti vennero effettuati durante le campagne di scavo 1965-69 da una squadra archeologica gallaratese e furono seguiti, per conto della Sopraintendenza ai Beni Archeologici, dal Mira Bonomi
Nel primo periodo della cultura (800-600 a.C.) le capanne, distribuite in prevalenza lungo il primo terrazzamento del fiume, sulle sponde opposte, avevano una pianta circolare, con al centro il focolare, dal diametro di circa 5-6 metri, cintate da un basso muro di pietre e pavimentazioni in ciottoli fluviali scheggiati infissi nell'argilla.
Questi pavimenti erano ricoperti di stuoie ad intreccio; la copertura delle capanne si pensa fosse lignea con delle nervature concentriche che venivano a formare una calotta. Sono stati ritrovati vari tipi di ceramica, modellata a mano con motivi ornamentali tradizionali: tali decorazioni venivano rese evidenti dall'uso del gesso. Evoluta era la tecnica di lavorazione della pietra, dell'osso e del legno: venivano utilizzati i ciottoli di serpentino scelti tra le ghiaie del fiume, la selce e l'ossidiana. Il cibo veniva raccolto in grandi recipienti di terracotta modellati a mano. L'uso della ruota è accertato dai carri rinvenuti nelle due Tombe di Guerriero, a Sesto Calende.
Gli insediamenti erano basati soprattutto sulla pastorizia e sull'allevamento delle capre, delle pecore, del maiale, del bovino e del cavallo. Si coltivavano ortaggi, radici, frutta, noci, legumi, cereali.
I tronchi di conifere ad alto fusto venivano usati come materiale di costruzione. Le barche venivano ricavate scavando tronchi d'albero, come dimostrano la canoa di Castelletto Ticino al museo dell'Isola Bella e quella reperita a Porto della Torre.
Gli utensili meccanici sono rari ma l'arte del metallo era in uso.
La scrittura era caratteri sillabici o alfabetiformi, documentata su reperti in pietra e incisa o impressa sulla ceramica.
Tutto ciò rivela un popolo ben organizzato ed evoluto, ma è nell'arte funeraria che si tocca al massimo; tra l'altro tale aspetto è il più conosciuto. Il culto degli antenati imponeva il rispetto dell'area adibita a sepolture e quindi le rotazioni agrarie e i disboscamenti non intaccavano l'area sacra dedicata al culto dei defunti.
Nel primo periodo i sepolcreti sono caratterizzati da posizioni dominanti, esposti al sole e con particolari orientamenti. Diversi sono i sistemi costruttivi delle sepolture: in nuda terra, in cista di ciottoli a pozzo con sovracopertura. Anche i cromlechs (circoli di pietre) e gli allineamenti sono caratteristiche costruzioni collettive per il culto degli antenati. Le sovracoperture risultano molto rare. I corredi delle sepolture sono composti dall'urna cineraria fittile e da un vasetto accessorio o bicchiere di forma tondeggiante. Successivamente il corredo ceramico appare a volte arricchito con la presenza di coppe ad alto piede e vari accessori anche immanicati e decorati.
Il corredo di oggetti in bronzo, solitamente di abbigliamento, consta di spille, spilloni, fibbie decorate di cinturoni, bracciali, anelli, orecchini, pendagli, collane.
Nel secondo periodo (600-450 a.C.) permane l'uso funerario della cremazione, ma gli insediamenti si espandono nell'entroterra allontanandosi dal fiume.
Dai dati archeologici emerge che l'insediamento di Golasecca - Sesto Calende - Castelletto Ticino mantenne inalterate le caratteristiche indigene e solamente nel VII-VI secolo a.C., in reperti di alcune sepolture dei ceti emergenti, si possono notare influenze di differenti centri propulsori. La persistenza dei caratteri autoctoni determinò un particolare momento di crisi, insieme ad altri fenomeni sociali, politici, ambientali e ciò si avverte, dal punto di vista archeologico, alla soglia del V secolo a.C., con l'abbandono dei luoghi, l'esaurimento del mondo pastorale, l'interesse verso nuovi insediamenti in pianura.
(Fonte: Periodico "Comune di Golasecca" Anno 18 N. 2 Autore: Luca Simonetta)
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