Abbazia di San Pietro al Monte
La leggenda di San Pietro al Monte narra che l'ultimo re longobardo Desiderio vi costruì un cenobio nel 772 in ringraziamento per la miracolosa guarigione dell'occhio del figlio Adelchi grazie alle acque di una fonte, che tutt'oggi scorre vicino alla chiesa. A parziale testimonianza di una presenza tardo antica sono i resti di una torre, di cappelle, colonne e murature databili tra il V e VIII secolo.
Il più antico documento, IX secolo, cita la presenza dell'abate Leutgario con trentacinque monaci benedettini legati al monastero di Pfäfers in Svizzera.
Il vescovo di Milano Arnolfo volle essere seppellito a San Pietro nel 1097 dopo avervi trascorsi gli ultimi anni di vita; probabilmente la sua presenza portò ai lavori di trasformazione dell'XI secolo. L'ampliamento della struttura portò al capovolgimento dell'asse est-ovest della basilica e successivamente alla sua decorazione.
Il monastero fu distrutto per ritorsione dal Libero comune di Milano in seguito allo schierarsi dai monaci con l'imperatore Federico Barbarossa; la comunità benedettina si trasferì a valle lasciando la custodia a pochi monaci votati all'eremitaggio.
Sulla metà del XVI secolo monaci Olivetani tornarono a far vivere l'abbazia fino a quando ne furono scacciati definitivamente nel 1798 durante la Repubblica Cisalpina. Il chiostro risale al Settecento. Nel corso del secolo successivo si assistette alla demolizione di un campanile situato all'esterno della chiesa.
Chiesa di San Calocero
oggetto di radicali trasformazioni del corso avvenute nel corso dei secoli, nella quale si trovano importanti affreschi risalenti all'XI secolo raffiguranti episodi dell'Antico Testamento tratti dal libro dell'Esodo. Sulla volta invece se ne possono trovare altri rappresentanti la Gloria di San Calocero, la Gloria di San Pietro e l'Apparizione della SS. Trinità ai San Vito, Modesto e Crescenza. Il presbiterio, il chiostro e la cripta romanica a tre navate costituiscono le parti dell'impianto originario della chiesa.
FRAZIONI
Isella, Pozzo, Scola, Tozio
STORIA
Le più antiche tracce umane sul territorio civatese risalgono all'età del rame, con la presenza di insediamenti umani presso il cosiddetto "Buco della sabbia", caverna funeraria con resti d'ossa, utensili e graffiti. In ogni caso il vero e proprio inizio dell'insediamento di Civate è da attribuire a un gruppo di guerrieri-agricoltori celti, che ai piedi del Cornizzolo, nella zona odierna della frazione Tozio, pose lo stanziamento primitivo.
Successivamente, quando i Romani si impadronirono della Gallia Cisalpina (196 a.C.), anche il territorio civatese fu soggetto all'opera di riorganizzazione militare-difensiva a cui furono sottoposti i territori collinari e della pianura, per creare una protezione in previsione di eventuali incursioni o invasioni provenienti dalle Alpi. Il passaggio obbligato all'incrocio con la via proveniente da Aquileia, assegnò la denominazione di Clavis (chiave) alla località, per indicarne la necessità del transito. Furono, poi, i Longobardi a variare la voce latina in Clavate (col suffisso –ate già presente in epoca etrusca), da cui Ciavate o Ciauate per arrivare all'odierna Civate. Ciò che importa, comunque, è che i Romani, presenti con forze massicce nel castello di Lecco, fossero anche stanziati nel punto chiave di passaggio, laddove sorgevano il ponte sul Rio Torto e un piccolo luogo di culto, denominato La Santa, dove oggi sorge l'oratorio dei Santi Nazario e Celso.
Nel 476 d. C, alla caduta dell'Impero romano d'Occidente, i Goti assunsero il dominio sui territori della penisola italica: anche sul territorio sono rimaste tracce, come il Buco della sabbia, visibili del loro passaggio, in particolare sul monte Barro, dove oggi i resti di una fortezza testimoniano la volontà di aumentare il controllo sulla zona del transito obbligato de La Santa.
In seguito i Longobardi ebbero un ruolo decisivo nella storia di Civate, non solo a livello militare, ma anche per fattori di carattere religioso e culturale, dal momento che, durante l'ultima parte del loro regno, sorgerà il monastero di San Pietro al Monte. Tutti i documenti che ricordano la fondazione del monastero pedemontano rimarcano la sua origine longobarda, affidandone l'idea della realizzazione a Desiderio, l'ultimo re dei Longobardi[. La storia di Civate sarà per secoli indissolubilmente legata alle vicende del monastero, ai rapporti con gli abati, all'Impero germanico e agli arcivescovi milanesi. In particolare allo scoppio del conflitto tra Milano e l'imperatore Federico Barbarossa, Algiso, l'allora abate di Civate, si schierò dalla parte del Barbarossa offrendo un appoggio sicuramente non solo spirituale. Distrutta Milano nel 1162, Federico concesse ad Algiso, suo fedelissimo, il diploma che confermava i possessi dell'abbazia civatese. L'illusione di aver ottenuto libertà e indipendenza fu, però, di breve durata perché poco tempo dopo l'Arcivescovo milanese reclamò e ottenne l'autorità sul monastero e i suoi beni.
Nel XIII secolo, durante le dispute che videro contrapposti i Visconti ai Torriani, il castello di cui Civate disponeva andò completamente distrutto.
Tornando alle vicende del monastero, nel 1470 morì l'ultimo benedettino rimasto. In seguito alla nascita degli ordini mendicanti, il monastero diventò commenda di numerosi cardinali, tra i quali Ascanio Maria Sforza Visconti e Antonio Trivulzio. I monaci tornarono a Civate solo nel 1566 quando l'allora abate commendatario, Niccolò Sfondrati, futuro papa Gregorio XIV, convinse gli Olivetani ad abitare il monastero, dando alla fede nuovo fervore.
Nel 1571 venne a Civate il cardinale Carlo Borromeo in visita pastorale. Sotto il suo pontificato si pose la questione sia della nomina di un parroco scelto tra il clero secolare sia del rito romano, con cui da sempre si celebrava a Civate. Col passare degli anni, la brianzola Civate, continuò a professare il rito romano per onorare la basilica sovrastante il paese.
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