CREMA (Cr)

 

Le origini di Crema sono legate all'invasione longobarda del VI secolo d.C.; il nome deriva probabilmente dal termine longobardo "Crem" che significa "altura". Secondo la tradizione, la fondazione della città risalirebbe al 15 agosto 570 quando, di fronte alla minaccia rappresentata dall'invasione longobarda, gli abitanti della zona trovarono rifugio nella parte più elevata dell'"isola della Mosa", approntandola a difesa sotto la guida prima di Cremete, conte di Palazzo, e poi di Fulcherio. Da questi due personaggi deriverebbero perciò i toponimi Crema e Insula Fulcheria. Secondo altre fonti la sua fondazione risale al IV secolo, quando Milano era capitale dell'Impero romano d'Occidente. Un'altra versione invece parla di un più antico insediamento celtico o etrusco.

La prima occorrenza di Crema nei documenti storici risale all'XI secolo come possedimento dei conti di Camisano. In seguito venne governata da Bonifacio marchese di Toscana e sua figlia Matilde. Nel 1098 Matilde diede in dono la città al vescovo di Cremona. Durante questo periodo l'agricoltura prosperò e l'Ordine degli Umiliati introdusse la lavorazione della lana, che fu una delle principali aree economiche fino al XIX secolo.

Nel 1159, dopo aver stretto un'alleanza con Milano contro la ghibellina Cremona, Crema venne assediata, invasa e distrutta dall'imperatore Federico Barbarossa. L'assedio di Crema fu caratterizzato da parecchi episodi di brutalità. I teutoni appesero alcuni prigionieri cremaschi alle loro macchine belliche sperando che i difensori non colpissero gli ostaggi. Tuttavia questo espediente non funzionò e si trasformò in una carneficina: questo episodio è uno dei più famosi della storia cremasca ed è celebrato da un quadro presente nella sala del Consiglio Comunale, detta appunto "sala degli Ostaggi Cremaschi", a cui è dedicata anche una via.

Con la pace di Costanza (1185) arrivò il permesso di ricostruire la città come "castrum". Ne seguì una fase di libero comune in cui comunque si verificarono lotte faziose, tipiche dei comuni del Nord Italia in quell'epoca. In ogni caso, la città venne fortificata con nuove mura, fossati e porte (1199), e successivamente una rete di canali valorizzò l'agricoltura. Nel XIII secolo Crema venne anche arricchita della costruzione della Cattedrale e del Palazzo Pretorio.

L'autonomia del comune terminò nel 1335, quando la città si arrese ad Azzone Visconti, la cui famiglia possedette la città fino alla fine del secolo. Nel 1361 Crema fu interessata dalla peste bubbonica. Seguì un breve periodo di regno della famiglia guelfa Benzoni (Bartolomeo e Paolo dal 1403 al 1405, successivamente il loro nipote Giorgio fino al 1423). La signoria passò di nuovo ai Visconti e, dal 1449 in poi, alla Repubblica di Venezia.

In qualità di provincia veneziana dell'entroterra, Crema ottenne numerosi privilegi e fu al riparo dal declino economico del vicino Ducato di Milano sotto il dominio spagnolo. Mantenne una sostanziale autonomia che permise la progettazione di nuove costruzioni. Esse includevano la nuova cinta muraria, la ricostruzione del Palazzo Comunale (1525-1533), il Palazzo della Notaria, ora Palazzo Vescovile. Nel 1580 Crema divenne sede vescovile e fu costruito il santuario di Santa Maria della Croce (1490).

Secondo i documenti custoditi negli archivi della diocesi, Crema fu anche la città d'origine dei Mastai Ferretti, la famiglia senigalliese di papa Pio IX. Secondo una ricerca operata dal parroco del paese d'origine dei Visconti, anche il famoso Innominato, descritto da Manzoni ne I promessi sposi, aveva origine cremasca da parte di madre. Vissuto ai tempi in cui Crema era sotto il dominio della Serenissima, aveva appezzamenti agricoli dalle parti di Bagnolo, pur essendo nato e vissuto nel Palazzo Visconti a Brignano Gera d'Adda, un gioiello di architettura e di fasto vicino a Crema. Brignano era sotto il dominio del Ducato di Milano, perciò a Francesco Bernardino Visconti (l'Innominato) capitò di rifugiarsi nel palazzo Martini, che allora era sotto il dominio della Repubblica di Venezia e che apparteneva alla famiglia di sua madre Paola Benzoni. In tal modo Francesco Bernardino sfuggiva alla giustizia milanese e anche trovava asilo in una piccola città dove nella Parrocchia della Cattedrale di Crema, un Benzoni, Leonardo Benzoni figlio di Soccino Benzoni, si laureò alla Sorbona a Parigi e, successivamente, divenne vescovo (non a Crema); era stato quindi un esponente religioso importante (su un capitello del Palazzo esiste tuttora lo stemma di Leonardo Benzoni, un cappello vescovile che sovrasta un cane, simbolo dei Benzoni. Per queste circostanze il nipote di Leonardo Benzoni, Francesco Bernardino Visconti (l'Innominato), poteva sperare di ricevere un maggior riguardo a Crema rispetto a quello che gli sarebbe toccato nel Ducato di Milano, oltre all'inopinabile vantaggio di cambiare velocemente Stato e confini politici in caso di necessità (dal Ducato di Milano alla Repubblica di Venezia) e, quindi, uscire in breve tempo dalla giurisdizione milanese.

Con il XVII secolo ebbe inizio la decadenza della città, causata dal fallimento delle sue attività industriali, anche se l'agricoltura continuò a essere fiorente. Nel 1796 venne fondata l'Accademia dell'Agricoltura. Dopo la caduta della Serenissima nel 1797, l'esercito francese depose l'ultimo podestà e creò la cosiddetta "Repubblica Cremasca", annessa dopo pochi mesi alla Repubblica Cisalpina. Crema divenne capoluogo (insieme con Lodi) dell'effimero Dipartimento dell'Adda, e in seguito fu annessa al Dipartimento dell'Alto Po, con capoluogo Cremona.

Nel 1815, l'impero napoleonico si dissolse e Crema divenne parte del Regno Lombardo-Veneto, dipendente dall'Impero austriaco. In questo periodo la città riprese lo status di capoluogo, questa volta della provincia di Lodi e Crema.

Cittadini cremaschi che ebbero un ruolo di rilievo nelle vicende risorgimentali furono Enrico Martini, Vincenzo Toffetti e Pietro Donati.

Crema fu annessa al Regno di Sardegna, con tutta la Lombardia tranne Mantova e parte della sua provincia, nel 1859, degradata a capoluogo dell'omonimo circondario nella provincia di Cremona. Dal 1861 fece parte del Regno d'Italia.

Crema è legata alla tradizione organaria e campanaria: qui si costruiscono organi a canne e campane dalla notte dei tempi ed entrambe le attività sono ancora tenute in vita, c’è l’unica scuola in Italia che rilascia il titolo di “Tecnico del restauro di organi a canne”. Per quanto riguarda le campane, il discorso è più o meno lo stesso: nessun dolce o souvenir a forma di campana, ma c’è una piacevole eccezione costituita da un museo didattico di recente costituzione dedicato all’arte campanaria presso la Fonderia Allanconi.

MONUMENTI E LUOGHI DI INTERESSE

Palazzo Benzoni Frecavalli

Convento di Sant'Agostino

Palazzo Cattaneo

Mura Venete

Santuario di Santa Maria della Croce

Palazzo Zurla De Poli


Piazza Duomo, il cuore di Crema

La piazza si snoda a U intorno alla possente Cattedrale e tutti gli edifici che lambiscono i lati sono porticati. È proprio qui che è sorto il primo nucleo di Crema e oggi rappresenta il cuore della città nonché il punto in cui si incrociano le arterie principali che la tagliano in due: via Cavour/via Matteotti da Nord a Sud e via Mazzini/via XX Settembre da Est a Ovest. Alle estremità di queste due vie, che poi sembrano un’unica lunghissima via tagliata a metà dal Torrazzo, ci sono le sole porte cittadine sopravvissute: porta Serio e porta Ombriano.

Cattedrale di Santa Maria Assunta
L’edificio che vediamo oggi non è quello romanico originario: l’antico Duomo è stato distrutto da Federico Barbarossa durante il famoso assedio, e alcuni resti si possono intravedere nella cripta. L’attuale costruzione risale al periodo 1284-1341. Lo stile che contraddistingue la raffinata facciata è il gotico lombardo: da notare il sapiente utilizzo dell’argilla per impreziosire monofore, bifore e altri elementi architettonici, e il fatto che sia molto più alta della chiesa stessa. L’interno è ampio, suddiviso in tre navate che a loro volta si dividono in cinque campate separate da massicci pilastri. Non c’è il transetto e ciò che vediamo oggi è il frutto di un restauro avvenuto in anni recenti (1952-59). Si nota appena entrati sulla sinistra ciò che rimane del periodo Barocco, in netta contrapposizione col resto della chiesa. Se devo essere sincera, l’interno del Duomo non mi è piaciuto granché, vi segnalo comunque che ci sono alcuni importanti dipinti (uno tra tutti: Cristo appare a San Marco di Guido Reni nella navata sinistra, terza campata) e ciò che rimane degli affreschi della controfacciata.

Il Torrazzo
A segnare il confine tra la piazza e via XX Settembre è il Torrazzo, inserito nel complesso del Palazzo Comunale come porta monumentale, in sostituzione di una porta, molto più modesta e sotto tono. Il Torrazzo incontra il gusto lombardo del primo Cinquecento e le sue due facciate si differenziano da un punto di vista decorativo: quella che si affaccia su piazza Duomo ha due nicchie ai lati della balconata con le statue di San Pantaleone, patrono della città, a sinistra e San Vittoriano a destra, e sotto l’orologio ha il graffito con lo stemma della città, nella facciata che si affaccia su via XX Settembre invece spicca un bassorilievo con il Leone di San Marco.
L’interno del Torrazzo oggi ospita gli uffici comunali.

Palazzo Comunale
Contiguo al Torrazzo è il Palazzo Comunale, voluto nel 1525 dal governo veneziano. Nell’edificio si fondono bene elementi architettonici lombardi, quali le cornici in cotto, al lessico dellarchitettura veneziana, che si esprime ad esempio nelle eleganti trifore del piano nobile. Sempre legati alla Serenissima sono i numerosi stemmi di podestà veneti inseriti nel parametro murario (anche se alcuni risalgono al periodo post veneziano).

Torre Guelfa
Sul lato settentrionale di piazza Duomo, noterete un torrione medievale in cui è affisso un altro Leone di San Marco: Venezia ha lasciato anche qui il suo zampino o, meglio, l’orma del suo leone. Si tratta della Torre Guelfa, la cosa più antica che si trova in piazza.

Palazzo Pretorio
Di fianco alla torre sorge il Palazzo Pretorio, costruito nel 1548 per ospitare la residenza del podestà e una nuova sala consiliare. Sontuoso è il portale d’onore, che si può ammirare da sotto i portici.
Alcuni storici ed alcuni elementi architettonici farebbero propendere per un'antica origine, forse fin dal 1286, ma l'attuale conformazione è frutto di una costruzione avvenuta tra il 1553 ed il 1555 in luogo delle demolite «case vecchie». Vi lavorò in quegli anni anche Vincenzo Civerchio che dipinse la perduta Battaglia di Ombriano, la rotta delle truppe sforzesche cacciate da Renzo da Ceri nel 1514 che determinò la fine dell'assedio del 1514.
A palazzo Pretorio vi risiedeva il podestà nominato dal Senato veneto (che a Crema aveva anche la funzione di Capitano) ed il cui mandato durava sedici mesi. Fu il podestà Marc'Antonio Faliero a chiamare a palazzo Gian Giacomo Barbelli nel 1633 per dipingere una sala interna, si tratta di un'altra delle opere andate perdute. Giusto in quest'anno vi fu rimossa la corda, usata quale pena corporale, e trasferita all'arco del Torrazzo.

Subì alcune trasformazioni nel corso nel XVII secolo e, particolarmente, nel XVIII secolo quando sulla facciata verso via Frecavalli furono aggiunte nuove aperture e arricchiti gli archi con elementi marmorei.

Il 13 aprile 1768 lo scoppio di polvere da sparo sul luogo di produzione tra porta Ombriano e porta Ripalta provocò numerosi morti e molti edifici subirono ingenti danni, tra questi anche il palazzo Pretorio,.

Nel 1801 furono demolite le carceri realizzandovi al loro posto il sottopasso.

L'edificio fu interessato da ingenti restauri negli sessanta del XX secolo subendo alcune trasformazioni interne, tra le quali l'allestimento della Sala dei Ricevimenti ad uso di conferenze stampa, convegni e celebrazione dei riti civili e l'allestimento della Sala del Consiglio direttamente comunicante con l'Aula degli Ostaggi del Palazzo comunale. Inoltre, fu ricavato nel sottoportico una terza corsia pedonale - all'epoca la piazza era aperta al traffico motorizzato - demolendo i locali dell'Ufficio igiene, già sede in passato del Corpo di Guardia.

Palazzo Vescovile
la piazza si conclude col Palazzo Vescovile, che sorge in tutta sobrietà, a fianco della Cattedrale. Palazzo Vescovile, chiamato anche Palazzo della Notoria, è sede della diocesi della città ed è situato in Piazza Duomo, tra Palazzo Pretorio ed il Duomo. Fu edificato nel 1548, ha una facciata di color giallo, in stile lombardo rinascimentale, con un porticato. Al centro della facciata ha un bel balcone in marmo, con gli stemmi vescovili. L'interno è visitabile durante le giornate del FAI.

Palazzo Benzoni

da non confondersi con Palazzo Benzoni Donati, dove ha sede la Biblioteca Comunale “Clara Gallini”. Si trova in via Civerchi e si riconosce subito per la sua elegante facciata. L’interno è uno splendore tra sontuosi stucchi e splendidi affreschi del Sei e Settecento. Gli orari in cui si può visitare il palazzo sono quelli della biblioteca, ossia: lunedì dalle 14:30 alle 18:30, martedì-venerdì dalle 9:30 alle 18:30 e sabato dalle 9:30 alle 12:30.

Palazzo Bondenti Terni De Gegory

L’edificio, con una struttura grandiosa ed elegante, rappresenta il più significativo esempio di barocchetto presente in città. È costituito da due ali principali collegate da un corpo centrale arretrato. A proteggere l’aera c’è una muraglia che dà sulla strada e sulla piazza, abbellita da finestre ellittiche con eleganti lavorazioni in ferro battuto e sovrastata da tre sculture che rappresentano le figure allegoriche della Generosità, della Saggezza e della Prosperità e una quarta, una donna con una pecora, per ricordare che la famiglia Bondenti commerciava lana.
I lavori del palazzo iniziarono nel 1698 per volontà del conte Nicolò Maria Bondenti, lo stesso che ordinò poi di non terminarli nel 1737 in seguito a una tragedia che si consumò nel cantiere. Il giovane figlio del conte morì cadendo da un’ala in costruzione (quella destra, ancora oggi incompiuta) e il padre, distrutto dal dolore, ordinò non solo lo stop immediato dei lavori ma anche che quell’ala non venisse mai più completata in ricordo del figlio. A quanto pare però, quest’ultimo non ha mai del tutto abbandonato il palazzo: il suo fantasma è ancora lì che gironzola e tende a palesarsi nelle notti buie di tempesta…
A prescindere dal fantasma, che comunque dona all’edificio quella giusta dose di mistero che lo rende ancora più affascinante, dal quale son passati anche ospiti illustri quali il re Vittorio Emanuele II nel 1859 e il Principe di Piemonte nel 1924 (i loro nomi, insieme a quelli delle famiglie proprietarie sono incisi in una targa nel porticato).
Il palazzo è dimora privata, quindi non visitabile al suo interno. Tuttavia, in alcune occasioni particolari è possibile  e visitare una mostra, allestita in tre stanze, che riguarda la vita e i cimeli del Capitano di Fregata della Regia Marina Militare Com.te Terni Luigi de Gregorj, vecchio proprietario del palazzo. Per maggiori informazioni scrivete una mail al seguente indirizzo: anmi.crema@gmail.com.

Chiesa della Santissima Trinità

 è una chiesa molto particolaresi trova lungo la centralissima via XX Settembre, non ha solo una facciata, ma ne ha ben due! È la chiesa della Santissima Trinità con le sue facciate di color giallo chiaro a doppio ordine con le lesene che culminano con capitelli con foglie d’acanto. Un capriccio architettonico risalente alla prima metà del Settecento. La facciata più lunga, quella che dà sulla via, termina con un campanile in cima al quale è collocata la statua in bronzo del Redentore.
In chiesa si entra dal portale posto sul lato corto: l’interno è piccolino ma sorprendente: riccamente decorato e con una magnifica prospettiva pittorica nell’abside.

Chiesa di Santa Maria delle Grazie

A pochi minuti a piedi dalla chiesa dalle due facciate, si trova un altro piccolo scrigno barocco della città, la chiesa di Santa Maria delle Grazie. Da fuori non vi dirà proprio nulla, ma non vi azzardate a saltarla perché nel suo interno, ad aula unica, esplode un trionfo di pittura, probabilmente il più significativo esempio di pittura barocca cremasca. È Maria la protagonista principale di buona parte degli affreschi presenti nella chiesa, opera di Gian Giacomo Barbelli.

Piazza Trento e Trieste

Nel bel mezzo della piazza si trova il monumento ai caduti cremaschi, restaurato di recente, che dà le spalle al Mercato Austroungarico, il monumentale loggiato costruito nel 1842 per celebrare la seconda visita dell’imperatore Francesco I d’Austria nel Regno del Lombardo Veneto. Inizialmente aveva una funzione commerciale, mentre oggi gli è rimasta solo quella estetica.

Ex chiesa di San Domenico

Un tempo fu chiesa, oggi è teatro. Un tempo assisteva premurosamente i poveri cristiani, successivamente condannò i mali cristiani. Sono queste le varie vesti con cui si è presentata nel corso del tempo la chiesa di San Domenico con annesso convento.
L'ordine riformato dei Domenicani, insediatosi a Crema dagli inizi del '300, aveva infatti il compito di alleviare le pene degli indigenti prestando loro assistenza, ma anche di consolarne l'animo attraverso una assidua attività di predicazione.
La chiesa attuale (1471) mostra linee semplici, materiali poveri (legno, argilla), nonché una decorazione essenziale: tutti elementi che dovevano tradurre visivamente la vocazione dei confratelli per una vita frugale e sobria. Anche internamente i pochi brani superstiti degli affreschi originari dovevano ispirare alla continenza sul modello domenicano (come le immagini nell'ex refettorio, ora foyer del teatro) e alla contrizione (come gli affreschi di presbiterio e abside, ora palco del teatro).
Nel XVII secolo si insediò anche a Crema il Sant'Uffizio (o Tribunale dell'Inquisizione), affidato proprio ai Domenicani, nell'intento di perseguire maghi, eretici e miscredenti di ogni specie.
Sul fianco destro della chiesa si sviluppava poi il resto del convento, articolato attorno a tre chiostri.
Di questi, due sono ancora visibili, mentre il terzo è stato abbattuto per far posto all'attuale "mercato austriaco" (1842). Sorto per omaggiare con il suo imponente stile neoclassico la visita a Crema dell'imperatore Francesco I d'Austria, la struttura accolse dapprima i commercianti di lini e granaglie, successivamente anche quelli di frutta, verdura e frattaglie.

Oratorio di San Giovanni della Carità
L’oratorio di San Giovanni, in via Matteotti a Crema, è la testimonianza (oggi solo architettonica) della presenza in città, per diversi secoli, di una confraternita che si definiva “refugium pauperi, adiutrix in opportunitatibus” (rifugio del povero e aiuto nei bisogni)(1). Per tale motivo la chiesa fu chiamata (ed è bene che ancora oggi la si definisca) San Giovanni della Carità.
La Confraternita della Carità costruì il suo oratorio dedicato a San Giovanni tra il 1583 e il 1589, anno in cui stipulò una convenzione con i religiosi del Terz’ordine francescano di Santa Maddalena per la celebrazione della Messa tre giorni la settimana che poi divenne quotidiana. In seguito dotò l’oratorio di una sacrestia, di una sala per le riunioni al piano superiore e dell’abitazione del cappellano. Nel 1636 la confraternita chiamò Gian Giacomo Barbelli ad affrescare l’oratorio.
L’oratorio sorge laddove c’era la casa di Caterina degli Uberti, la fanciulla a cui apparve la Madonna in circostanze non felicissime di cui vi ho parlato sopra, relativamente al Santuario di Santa Maria della Croce. L’esterno è piuttosto severo e anonimo, mentre il piccolo interno a navata unica è spettacolare. Anche qui c’è lo zampino, o meglio il pennello, di Gian Giacomo Barbelli che nel 1636 si occupò di realizzare l’intero ciclo di affreschi, dedicati alle Storie della vita del Battista.

Il pittore-plasticatore divise le pareti in tre campi spartiti da lesene su alti basamenti. In questo impianto decorativo l’artista sviluppò due temi: la Glorificazione della Carità e la Vita di san Giovanni Battista, realizzando il suo primo capolavoro. Al termine dei lavori l’iconografia dell’oratorio si presentava (e si presenta tuttora) secondo il seguente schema. L’Esaltazione della Carità è raffigurata nel presbiterio e sulle pareti dell’aula: nella volta del primo, le figure allegoriche di Fede, Speranza e Carità all’interno di riquadri a stucco affiancati da angioletti e festoni di frutta; nel lunotto absidale (sopra l’alzata d’altare), all’interno di un fastigio delimitato da lesene modanate e volute terminanti in un timpano arcuato, L’Allegoria delle opere di Carità; infine, in sei grandi cartigli posti sotto le finestre delle pareti le Sette opere di misericordia corporale. Da destra, in senso antiorario: 1 – Dar da mangiare agli affamati e Dar da bere agli assetati, 2 – Vestire gli ignudi, 3 – Alloggiare i pellegrini, 4 – Visitare gli infermi, 5 – Visitare i carcerati, 6 – Seppellire i morti

La volta e l’arco trionfale sono invece occupate da Le storie di Giovanni Battista. S’inizia con i profeti del Vecchio Testamento, precursori del grande predicatore: Isaia (a nord) e Geremia (a sud) sulla controfacciata. Nei sei grandi riquadri delle fasce laterali della volta, nel presbiterio e nell’arco trionfale, gli episodi della vita di Giovanni. Nella fascia destra della volta (partendo dall’ingresso).

Palazzo Arrigoni Albergoni

Le origini dell'edificio risalgono al Trecento quando, nell'area dell'attuale palazzo, sorgeva una casa di proprietà della famiglia Benvenuti. Nel corso degli anni i vari discendenti della famiglia acquistano altre proprietà nei dintorni della "casa madre", che lentamente cambia forma e si ingrandisce. Un documento del 1499 descrive la casa definendola "casa grande" cioè di impianto simile all'attuale con una corte fiancheggiata su tre lati da edifici con botteghe; di quell'epoca sono parti di muratura, avanzi di finestre centinate e l'arco a doppia ghiera di un portale, visibili sul fronte di via Mazzini. Nel corso degli anni la famiglia Benvenuti accresce il proprio prestigio e nel 1695 Giovan Battista Benvenuti ottiene il titolo di conte in virtù del suo valore militare. E' nel XVIII secolo che il palazzo assume la veste attuale: nel 1742 iniziano i lavori di ricostruzione del palazzo in forme barocchette e, a partire dal 1756, si costruisce lo scenografico scalone al centro del portico. La proprietà rimane dei Benvenuti fino al 1775, quando è venduta al nobile Carlantonio Monticelli al quale nel 1830 succede il figlio. In seguito subentreranno gli Arrigoni, attuali proprietari.

Palazzo Patrini Premoli Pozzari

L’attuale palazzo sorse per volontà di Domenico Patrini a partire dai primi anni del Settecento sul luogo dove si trovavano alcune case di proprietà di suo padre Carlo. La famiglia Patrini, attestata a Crema dalla metà del Cinquecento, non poteva vantare titoli nobiliari, ma dalla metà del Seicento i suoi membri erano stati ammessi a far parte del Consiglio Generale di Crema che amministrava la città e il contado per conto della Repubblica di Venezia.

L’ultimo discendente della famiglia fu Carlo, figlio di Domenico Patrini e di Lucrezia Benvenuti che nel 1755 lasciò tutti i suoi beni al cugino Livio Benvenuti e si ritirò nel convento di San Bernardino. Livio subito dopo cedette l’edificio al conte Giulio Premoli. La famiglia Premoli è documentata a Crema dalla metà del XVI secolo. Nel 1642 Vincenzo aveva ottenuto il titolo di conte palatino dall’imperatore Federico III, mentre Camillo Premoli nel 1683 ottenne il titolo di marchese di Comazzo dal duca di Savoia. I discendenti della famiglia abitarono nel palazzo fino al 1974 quando subentrarono i Pozzali.

Palazzo Vimercati Sanseverino

Un primo nucleo del palazzo abitato dai Vimercati doveva esistere già nel Quattrocento come dimostra il soffitto con tavolette dipinte conservato in un salone del piano nobile. I Vimercati sono una famiglia di antica nobiltà, documentata a Milano fin dal XII secolo. Sono presenti a Crema almeno dalla metà del Quattrocento. Capostipite dei Vimercati Sanseverino fu Sermone che nel 1520 sposò Ippolita Sanseverino, aggiungendo il cognome della moglie al proprio. Di origine campana, la famiglia Sanseverino aveva fatto fortuna attraverso i suoi capitani di ventura che si distinsero al servizio degli Sforza. Alcuni suoi membri ottennero anche la porpora cardinalizia.

Sermone nel 1526 ospitò nella sua dimora il duca Francesco II Sforza all’indomani della sua fuga da Milano occupata delle truppe imperiali. A Sermone e alla moglie Ippolita dedicò alcune delle sue novelle Matteo Bandello (Castelnuovo Scrivia, 1484 circa – Bazens, 1561), frate domenicano che nel 1523 fu priore del convento di Crema. Marcantonio Vimercati Sanseverino, figlio di Sermone e Ippolita, si distinse nella guerra di Cipro contro i Turchi combattuta dalla Repubblica di San Marco nel 1577 e nel 1587 ottenne dalla Serenissima il titolo di conte di Palazzo Pignano. Nel 1592, ormai settantenne, intraprese la riedificazione del palazzo secondo le forme attuali. I lavori furono portati a termine nel 1602 dai suoi figli Orazio e Ottaviano. Unico caso fra le dimore nobiliari cremasche, il palazzo appartiene ancora oggi ai discendenti della famiglia che lo fece erigere.

Palazzo Bisleri Vailati

Situato in via G: Mazzini, nel 600 fu la dimora della famiglia Bremaschi ed in seguito dei Martini. Nel 1840 la proprietà del palazzo passò alla famiglia Bisleri. In questo palazzo visse anche Giovanni Vailati, filosofo e matematico, come attestato dalla dedica posta sulla facciata.

Ex palazzo del Monte di Pietà

Il Monte di Pietà iniziò l'attività nel 1492 ma la sua costituzione ufficiale si ebbe il 20 maggio 1496, quando il Consiglio Generale decise la sua fondazione, stabilendo un finanziamento di 200 ducati d'oro da parte del Comune.
Il fondatore fu Michele D'Aquis dell'Ordine degli Zoccolanti, ed il Monte cambiò sede finché nel 1569 iniziò la fabbrica di questo Palazzo, portata a termine nel 1586.
La facciata ha una scansione centrale creata dalle paraste coniche imponenti, poste su possenti basamenti il cui culmine è decorato con un fregio.
Il portale è a tutto sesto, ed inquadrava un'immagine della Pietà.

Palazzo Fadini Gambazocca
Severo ed elegante edificio seicentesco con finestre decorate in bugnato.
Il portale a tutto sesto con cornice in bugnato, ha lo stemma con tre uccellini detti "zurlini".
La facciata è divisa in quattro parti da tre cornici marcapiano. Al livello inferiore c'è una muratura massiccia, a quello superiore si aprono quattro finestre protette da inferriate e contornate da cornici a bugnato.
Al terzo livello, ci sono altre quattro finestre con la medesima cornice, mentre una porta-finestra che si affaccia su un balcone sorretto da mensole in pietra e cinto da una ringhiera in ferro battuto.
All'ultimo livello, c'è un cornicione a due ordini con mensole binate alternate ad oculi ellissoidali.
Nell'androne, il soffitto in travi lignee, ed oltrepassato il cancello in ferro battuto sotto il portico. Sorretto da colonne doriche in pietra su cui si impostano tra archi a tutto sesto. Il cortile è cinto da edifici ricoperti di piante.

Palazzo Benvenuti Bonzi
Nel 1710, i fratelli Benvenuti affidarono all'architetto milanese Giuseppe Bos l'incarico di ristrutturare il palazzo e la via, che venne ampliata grazie ad un arretramento delle mura dell'edificio.
L'aspetto attuale è dovuto all'intervento dell'arch. Chierichetti, anch'egli milanese, su incarico della famiglia Vimercati, nel frattempo subentrata.

Palazzo Foglia
Palazzo realizzato nel 1650 dalla famiglia Obizzi poi acquistato dalla famiglia Foglia.
Si presenta con una facciata molto semplice ed un bel portale ad arco sfaccettato. Interno con cortile di recente realizzazione.

Palazzo Compostella
Il palazzo sorge in fondo ad una via privata, ed è perciò nascosto alla vista.
E' stato sede del Priore dell'Abbazia di Cerreto, poi dal 1585 abitato dalla nobile famiglia veneziana dei Dolfin.
Nel tempo, passò di famiglia in famiglia, fino ad arrivare ai Compostella, bassanesi.
E' stato restaurato nel 2005.

Palazzo Dossena
Il palazzo apparteneva alla famiglia Catella, presente a Crema dalla fine del Seicento, tanto che il capomastro Giuseppe partecipò alla costruzione del Palazzo Terni de Gregory. la famiglia si è estinta nel 1925, con la morte di don Eliseo Catella, sacerdote e dopo alcuni passaggi, il palazzo è stato acquistato dalla famiglia Dossena, che ci vive tutt'ora.
L'edificio ha forma di U, ed è stato costruito nel XVIII secolo. Comprende un ampio giardino, ed ha una facciata a due piani, con basamento in pietra grigia grezza, rarità tra i palazzi cremaschi.
Colpisce il portale, ed i riccioli che ne ornano la volta. Nel cortile si vedono edifici aggiunti tra la fine dell'ottocento e l'inizio del Novecento dalla famiglia Zanchi, che allora vi abitava.

Palazzo Parolari
E' stato costruito nel 1750, ed ha una elegante facciata settecentesca.
All'interno, è notevole il salone delle feste con due dipinti del Campi, raffiguranti 'La presentazione del tempio di Gesù' e 'Gesù tra i dottori'.

FRAZIONI

Castelnuovo

La prima attestazione del nome risale al 1140 in un documento, giunto in copia trecentesca, nel quale il Conte di Offanengo Manfredo viene investito a Bergamo delle terre possedute dal vescovo Gregorio nelle curtis di Offanengo Maggiore, Offanengo Minore e Castelnuovo.

Secondo Bernardo Zanini questo “Castelnuovo” non sarebbe da identificarsi con l'attuale area sulla riva sinistra del Serio che in tempi antichi era di pertinenza di Offanengo Minore e dove sorgeva una chiesa intitolata all'apostolo Giovanni: il toponimo identificava in origine il territorio compreso tra Porta Ripalta e Porta Serio, tra le mura cittadine e il fiume. Anche l'interpretazione dei nomi citati in un inventario dei beni del monastero di San Benedetto, datato 1350, confermerebbe questa ipotesi.

Si sottolinea, tuttavia, che popolarmente il quartiere è spesso denominato Le Quade che, secondo molti autori, deriverebbe dal nome di una cascina posta in prossimità di un guado che metteva in comunicazione la strada per Cremona con la cascina Dosso Morone.

Lo Zanini, ad ogni modo, ricorda la presenza di un guado collocato pressappoco nell'area del tiro a segno, che nel medioevo e ancora nel XVI secolo metteva in comunicazione le due rive del fiume.

Dal punto di vista spirituale, l'area, in antico sotto la cura dei monaci di San Benedetto, fu unita a Ripalta Vecchia nel 1590, quindi a San Bernardino nel 1594.

Un decreto del 1809 lo collocava come aggregato a Crema ma aveva già riottenuto la propria autonomia nel 1816.

Nel 1862 assunse la denominazione di “Castelnuovo Cremasco”, ma solo dopo pochi anni, nel 1869 venne aggregato al Comune di San Bernardino. Quest'ultimo ente fu, infine, unito a Crema nel 1928.

Il 19 marzo 1943 monsignor Francesco Maria Franco istituì la parrocchia del Cuore Immacolato di Maria mentre nella prima metà degli anni cinquanta fu commissionato all'architetto Amos Edallo il progetto della nuova chiesa più rispondente alle esigenze di una popolazione in crescita; fu completata nel 1958.

Ombriano

La località fu citata per la prima volta nel 1079, nell'elenco di una serie di donazioni effettuate da Giselberto IV nei confronti dell'abbazia di Cluny allo scopo di fondare il monastero di San Paolo d'Argon. Nel documento si fa cenno ad una cappella di San Pietro affiancata da un cimitero, presso la quale, come si evince in un documento del 1081, fu costruita una cella monastica retta da monaci benedettini cluniacensi.

Risale al 1155, invece, la prima attestazione dell'esistenza di una chiesa dedicata a Santa Maria.

Nei secoli successivi Ombriano è stato un borgo agricolo posto lungo la strada per Lodi, per quanto amministrativamente autonomo, pressoché sempre legato alle vicende storiche di Crema.

Nelle sue campagne si svolse nel 1512 la Battaglia di Ombriano tra le truppe vincitrici del condottiero Renzo da Ceri e le soldatesche del duca di Milano Massimiliano Sforza, evento che sancì il ritorno di Crema alla Repubblica di Venezia.

Dopo la battaglia di Lodi tra il 9 e l'11 maggio 1796 vi transitò la retroguardia austriaca composta da 40.000 soldati in ritirata; il giorno 12 vi si accamparono le truppe francesi che spogliarono e depredarono gli abitanti e profanarono la chiesa.

Perduto il borgo la propria autonomia nel 1797, la riottenne nel 1805, per poi di nuovo essere aggregato a Crema nel 1809. Recuperò la propria autonomia nel 1816 con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto.

All'Unità d'Italia (1861) contava 1 544 abitanti. Nel 1865 al Comune di Ombriano fu aggregato il Comune di Porta Ombriano.

Nel 1928 il Comune di Ombriano fu annesso definitivamente alla Città di Crema.

Porta Ombriano 

era uno dei quattro comuni, detti "comuni delle porte", in cui fino all'età napoleonica era suddiviso il suburbio della città di Crema.

Si estendeva fuori l'omonima porta nelle mura cittadine, a ovest del centro storico, lungo la strada per Lodi. Questo comune era composto da piccoli insediamenti rurali sparsi oggi in parte riuniti con il nome del quartiere suburbano dei Sabbioni (parrocchia autonoma dal 1960). Un tempo Sabbioni era suddiviso in Sabbioni di Sopra e Sabbioni di Sotto; le cascine Camporelle, Santa Maria del Pilastrello e cascina Valcarenga; poi le case del vicolo delle Zucche e infine la chiesa e convento dei padri Cappuccini.

Il territorio dell'ex comune, inoltre, comprendeva la superficie sulla quale si è sviluppato l'attuale quartiere di San Carlo (parrocchia istituita nel 1975), una piccola porzione del quartiere di Crema Nuova (parrocchia istituita nel 1955) e la frazione dei Mosi (parrocchia istituita nel 1949.

San Bernardino con Vergonzana

In antico l'area apparteneva ad Offanengo Minore – il cui territorio si spingeva fino al fiume Serio - e probabilmente comprendeva in tempi remoti un Borgo San Giovanni le cui origini si perdono nel tempo: secondo lo Zavaglio risalirebbero all'epoca longobarda poiché tale santo era molto venerato da questa popolazione.

Da qui passava una Stratam mastram que apelatur strata Offanenegi, antica via di collegamento tra Laus Pompeia e Brixia che incrociava secondo una forma a forcella la strada per Zosani (Izano) e la strada regia per Camisano.

Dopo la riedificazione di Crema in quest'area vi possedeva appezzamenti la famiglia Alfieri, casata di antica nobiltà guelfa e convinta sostenitrice della potente famiglia Benzoni; si alternavano le terre alle proprietà del monastero cittadino di San Benedetto, voluto da Enrico II Ghisalbertini e dalla moglie Belisia nel 1097 e senz'altro già attivo nell'anno 1101. Va sottolineato che alla carica di priore del monastero salirono ben quattro Alfieri, Redolfino, Tommaso, Antonio e Giacomo, oltre al monaco e poi rettore Pasio, indizio di una probabile correlazione tra la famiglia e il cenobio cittadino.

Durante il breve passaggio a Crema, San Bernardino da Siena fondò il monastero degli Osservanti di Supravalle a Pianengo nel 1421; tuttavia, per il sopraggiungere di un buon numero di vocazioni, la provincia superiore aprì una sua filiazione fuori Crema, oltre il Serio.

Un'ulteriore sviluppo quest'area l'ebbe a partire dall'anno 1450 allorché vi si cominciò ad allestire l'annuale fiera di San Michele, della durata di otto giorni, da tenersi alla fine dell'estate con esenzione di dazi, gabelle e pontatico sul fiume Serio. La sua importanza crebbe così tanto in pochi decenni che nel 1593 il doge Pasquale Cicogna concedeva una sovvenzione di 200 ducati per costruirvi delle botteghe in legno.

La battaglia di Agnadello del 1509 comportò l'invasione dei francesi che furono poi cacciati nel 1512; ma le successive vicende politiche e militari determinarono l'assedio di Crema del 1514, in difesa del quale il capitano Renzo da Ceri faceva radere al suolo tutti gli edifici attorno alle mura. Gli invasori erano divisi in due accampamenti principali: gli sforzeschi e gli svizzeri a Ombriano, gli spagnoli poco fuori San Bernardino. Dopo la sortita delle difese di Renzo da Ceri, che sbaragliarono il campo di Ombriano, gli spagnoli comandati da Prospero Colonna si allontanarono e per evitare che ritornassero fu abbattutto il monastero affinché non venisse usato come base di un nuovo assalto delle truppe invasori. Per compensarli della perdita agli Osservanti fu concessa nel 1517 un'area all'interno del centro storico ove poter elevare un nuovo convento.

Alla fine del secolo XVI secolo le autorità civili divennero sempre più perentorie in merito alla chiusura delle porte nelle ore notturne, per cui monsignor Gian Giacomo Diedo decise di istituire la parrocchia nel 1594 affidandola prima ai frati dipendenti dall'abate di San Benedetto, quindi dal 1609 al clero secolare.

Nel 1802 il Comune di San Bernardino venne soppresso e aggregato a Crema, ma fu ripristinato solo tre anni dopo con la denominazione San Bernardino con Bergonzana (come scritto nel testo della legge), ma di nuovo concentrato a Crema nel 1809; quindi riottenne la propria autonomia nel 1816 (con la denominazione corretta: San Bernardino con Vergonzana).

Due passaggi storici avvennero a San Bernardino nel 1848: tra il 25 e 26 marzo villa Martini fu requisita e vi dimorò il feldmaresciallo Josef Radetzky che si stava ritirando con il suo esercito di 20.000 soldati verso le fortezze del Quadrilatero. Una settimana dopo, il 1º aprile, la stessa dimora, proprietà del conte Enrico Martini, ospitò Carlo Alberto di Savoia.

Con Regio Decreto 2 maggio 1869 fu soppresso il comune di Castelnuovo Cremasco, il cui territorio fu incorporato a quello di San Bernardino.

Nel 1891 entrò in funzione il canale Vacchelli, scavato a partire dal 1884, il quale lambisce l'abitato a nord proveniente dal ponte-canale che scavalca il Serio.

Tra il 1880 ed il 1931 lungo la direttrice per Brescia vi transitava la tranvia Lodi-Crema-Soncino percorsa da piccoli convogli con trazione a vapore.

Il comune di San Bernardino fu definitivamente soppresso e aggregato a Crema ai sensi del Regio Decreto del 15 aprile 1928.

Di fronte all'accresciuta popolazione di Castelnuovo il 19 marzo 1943 monsignor Francesco Maria Franco decideva di smembrare la parrocchia di San Bernardino, erigendo la parrocchia del Cuore Immacolato di Maria

Si accenna brevemente che questa porzione del cremasco era nota in passato per le fornaci, numerose grazie alla particolare presenza di strati argillosi considerati adatti allo scopo: in passato erano attività prettamente artigianali, successivamente in parte meccanizzate nel corso del XX secolo; nel periodo precedente al primo conflitto mondiale vi erano impiegati circa 200 operai.

 San Michele

Il console della vicinia di San Michele è citato negli statuto del 1536: la località apparteneva all'elenco delle vicinie di Porta Serio. Risulta comune autonomo anche alla fine del XVII secolo, ma dipendente da Porta Rivolta.

In applicazione alla legge del 24 luglio 1802 il Comune fu soppresso ed aggregato a Crema, situazione confermata da alcuni decreti del 1807.

Nel 1816, durante il Regno Lombardo-Veneto, la piccola borgata ritornò autonoma allargando la sua giurisdizione ed assumendo la denominazione di Comune di San Michele con San Bartolomeo de' Morti. Mantenne la sua indipendenza amministrativa anche sotto il neonato Regno d'Italia, assumendo nel 1862 la nuova denominazione di San Michele Cremasco.

Il Comune fu soppresso nel 1875 ripartendo il territorio fra Crema (San Bartolomeo ai Morti) e Ripalta Nuova (San Michele).

Ripalta Nuova

La località di Ripalta Nuova è citata nella convenzione stipulata il 9 aprile 1361 tra il podestà di Crema e i consoli dei comuni delle porte per la manutenzione delle infrastrutture viarie territorio. Rientra nell'elenco delle ville del contado appartenenti alla Porta Rivolta.

Ripalta Nuova fu autonoma fino al 1810, anno in cui, applicando un decreto datato 14 luglio 1807, fu aggregata in un unico comune con Ripalta Guerina e Zappello. Le tre borgate furono divise nuovamente nel 1816.

Nel 1875 a Ripalta Nuova fu aggregato parte del territorio del soppresso comune di San Michele Cremasco.

Il comune di Ripalta Nuova fu definitivamente soppresso nel 1928 ed incluso nella nuova aggregazione comunale che prese il nome di Ripalta Cremasca, comprendente anche Bolzone, Zappello, San Michele e Ripalta Guerina. Quest'ultima località ritornò autonoma nel 1955.

 Santa Maria della Croce

Il centro abitato di Santa Maria della Croce, sulla strada per Bergamo, si sviluppò intorno all'omonimo santuario, posto alcuni kilometri a nord della città. Costituiva il centro di un territorio comunale autonomo.

In età napoleonica (1810-16) Santa Maria della Croce fu frazione della città di Crema, recuperando l'autonomia con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto.

All'Unità d'Italia (1861) contava 920 abitanti.

Nel 1875 il limitrofo comune di Vairano Cremasco fu smembrato, assegnando a Santa Maria della Croce il capoluogo (Vairano), e alla città di Crema la frazione Mulini..

Nel 1928 Santa Maria della Croce fu aggregata definitivamente alla città di Crema.

Santo Stefano in Vairano

La località sembra essere nominata per la prima volta in un documento notarile, che cita un "palazzo grande di Vairano" con le sue dipendenze (25 aprile 924)..

Tale indicazione sembra potersi riferire ai toponimi Castèl o Castelèt (oggi via Quartiere). Qui erano presenti quelli che forse erano antichi fossati di un luogo fortificato (Senna o Sena "dalle Valdroghe" e Senna "Bovina" o Buina, con il significato di "campagnola"). Nella zona sembra inoltre anticamente essere stato presente un mulino.

Nel 1361 un documento sulla manutenzione di vie, ponti e strade del territorio, lo cita tra le ville del contado di Crema sotto la responsabilità del "console del comune della Porta di Pianengo".

Nel 1385 la chiesa di Vairano era soggetta alla pieve di Fornovo (diocesi di Cremona). Nel XV secolo la chiesa passò ad alcuni terziari francescani, provenienti da Piazzano (Rubbiano), che vi fondarono un piccolo convento..

La chiesa è riportata nei documenti con i titoli di "Santa Maria" o di "San Bernardo", di cui il primo è probabilmente la denominazione più antica. Il culto era assicurato dal clero della chiesa di Santa Maria di Crema (duomo), la quale apparteneva alla diocesi di Piacenza e la situazione della chiesa, divisa tra due diocesi, rimase a lungo incerta, nonostante l'istituzione nel 1580 della nuova diocesi di Crema.

Nel 1685 Vairano è nuovamente citata come dipendente dalla città di Crema (all'epoca appartenente ai Veneziani), inserita nella suddivisione amministrativa di Porta Nuova.

Durante l'occupazione napoleonica, nel 1805 venne istituito il comune di Santo Stefano e Vairano, con 511 abitanti. Il comune era classificato come "di III classe" e apparteneva al cantone I di Crema, nel distretto II di Crema, nel dipartimento dell'Alto Po e nel 1807 entrò a far parte del "comune denominativo" di Crema.

Con l'istituzione del Regno Lombardo-Veneto, il comune fece parte del distretto IX di Crema della provincia di Lodi e Crema. Nel 1844 Vairano con Santo Stefano fu "comune con convocato" e nel 1853, con 716 abitanti, passò al distretto V di Crema.

Con l'annessione al regno di Sardegna nel 1859, il comune di Vairano (707 abitanti) fu compreso nel mandamento I di Crema, circondario II di Crema, provincia di Cremona e nel censimento del 1861, dopo l'istituzione del regno d'Italia, risultò avere una popolazione residente di 775 abitanti e di 852 nel successivo censimento del 1871. Nel 1862 assunse la denominazione ufficiale di Vairano Cremasco (per distinguersi da altre località omonime) e fu abolito nel 1875 e il territorio venne ripartito tra i comuni di Crema e di Santa Maria della Croce.

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