Villa Terzaghi ristorante
Villa Gaia location per eventi
Villa Arrigoni (La Peralza)
Detta anche la Peralza, si trova oggi in un complesso sportivo privato che appartiene al Comune di Magenta nella frazione Ponte Vecchio. Fu costruita, sulla base della datazione degli affreschi interni, nel 1692, come edificio padronale annesso all'attigua azienda agricola e la sua notevole elevazione verticale rivela la funzione di controllo della tenuta.
Villa Barbavara di Gravellona (La Bassana)
Detta anche la Bassana, fu residenza dei Pallavicini di Persia e dei Lucerani Cernuschi, e risale nelle sue forme attuali al XVIII secolo. La cancellata, che riprende i motivi in ferro battuto della facciata, segue un cavo minore di poco sopraelevato rispetto al naviglio. al fondo del giardino è l'edificio padronale con ai lati gli annessi rustici: nella parte centrale si aprono il portico e serra, oggi chiusa. Nel vasto salone, al piano terra, vi sono sei prospettive ad affresco raffiguranti il Naviglio Grande ed alcune delle sue ville così come apparivano nel Settecento. Nell'Ottocento fu residenza di campagna del Senatore Giovanni Barbavara di Gravellona.
Il ponte degli scalini
Situato nel bel mezzo del centro storico, tale ponte era utilizzato anticamente per il solo passaggio pedonale e per il passeggio. Il ponte, detto degli Scalini fu gettato nel 1842 per collegare l'allora contrada di Brisa con quella di San Girolamo, sulla strada per Castellazzo de Barzi e sostituì un precedente ponte galleggiante allestito per antica consuetudine nel giorno della festa patronale di San Giovanni Battista, per consentire il passaggio della processione. Il ponte fu inizialmente dedicato a Francesco Giuseppe I d'Asburgo e in seguito, dopo l'indipendenza dall'Austria, a Vittorio Emanuele II. I fondi per la sua costruzione vennero dal lascito testamentario del Cardinale Antonio Dugnani: "Lascio alla Comunità di Robecco lire milanesi quattromila quando si facesse il ponte di comunicazione colla strada che va a Castellazzo, e ciò ad opre compiuta; intendo però lasciare questo legato per un più comodo e libero mezzo di portare il Santissimo Viatico agli infermi dell'altra sponda particolarmente cari però se entro dieci anni non avesse luogo tale ponte secondo me importantissimo, allora passerà all'Orfanotrofio od i San Pietro in Gessate, o dove si troverà il suddetto legato, pel mantenimento di un orfano onde possa essere mantenuto del frutto di tale legato. Se occorresse di più si darà compimento".
La scarsa disponibilità finanziaria limitò l'intervento ai soli giardini che, a loro modo, testimoniano l'eccentricità del personaggio. Il progetto si fa risalire a Giuseppe Balzaretto per le affinità del progetto robecchese con quello presentato da quest'ultimo per i Giardini Pubblici di Milano. Attorno al laghetto centrale, si trovano cippi, decorazioni e statue (tra cui una Minerva), un gruppo di putti, un sarcofago romano originale, capitelli e cippi ed il cenotafio della madre del Bordini, che in passato sono state attribuite, senza alcuna conferma documentaria, al noto scultore Vincenzo Vela. Interessante è anche la scuderia di stile moresco risalente al Settecento, coperta da cupolette rettangolari sorrette da volte ad arco con colonne, decorata da abbeveratoi in pietra calcarea bianca e balaustre in ferro battuto, restaurata poi dal tenente generale Giovanni Sironi che divenne proprietario del complesso alla fine del XIX secolo.
Villa Cittadini-Dugnani-Benini-Bossi
Meglio conosciuta come "Villa Dugnani", la residenza si trova in parte da fabbricati rustici e dall'alto muro di cinta con funzione di terrapieno che la rende un caso singolare nelle ville del Naviglio Grande. Il complesso risale con tutta probabilità nelle sue origini al quattrocento e sembrerebbe testimonianza meritevole di tale affermazione la facciata verso via Mazzini, che presenta infatti due finestre dalle cornici in cotto in tipico stile rinascimentale. La struttura come la si può ammirare oggi, però, venne edificata nella sua parte principale nel corso della prima metà del XVI secolo ad opera della famiglia Cittadini che si impegnò ad opere di ristrutturazione ed ampliamento successive come ad esempio la costruzione di un oratorio nel 1632, voluto da Gerolamo Cittadini e dedicato ai SS. Gerolamo e Onofrio. Nel 1760, dal Catasto Teresiano dell'area di Robecco sul Naviglio, apprendiamo che la casa da nobile era passata in proprietà alla famiglia Dugnani che era entrata in possesso anche di molti terreni adiacenti. La villa venne quindi ceduta dal Cardinale Antonio Dugnani all’orfanotrofio femminile di Milano e quindi acquistata dalla famiglia Benini-Bossi. La struttura della villa è interamente in mattoni a vista ad eccezione di un gustoso porticato seicentesco con vista sul Naviglio che consente anche di accedere all'area rialzata del giardino.
CHIESA San Giovanni Battista
fu edificata nella seconda metà del XVIII secolo e terminata attorno al 1790. Sostituì la precedente, di cui sopravvivono i resti all'interno del cortile denominato "gèsa vègia", edificata nella seconda metà del Quattrocento e delocalizzata lungo la strada per Casterno. L'attuale edificio, costruito su disegno dell'architetto milanese Francesco Bernardino Ferrari fu elevato inizialmente su impianto a croce greca e rimase incompleto sino alla fine del XIX secolo, quando si decise di realizzarne la facciata e, contestualmente, di allungarne di due terzi la navata, trasformando la pianta in croce latina. Il disegno della nuova facciata venne affidato all'architetto milanese Alfonso Parrocchetti e compiuto nel 1901. La chiesa venne definitivamente consacrata nell'anno 1902. Risalgono agli anni '80 del Secolo scorso gli interventi di ristrutturazione e adeguamento liturgico dettati dall'introduzione della nuova liturgia.
All'interno si trovano alcune tele tra cui alcune ascrivibili alla scuola di Camillo Procaccini una crocefissione di Simone Peterzano, oltre a due angeli di Andrea Appiani presso il crocifisso dell'altare maggiore, realizzati alla fine del XVIII secolo, ovvero quando il pittore milanese stava lavorando ad alcuni affreschi nella vicina Villa Gaia.
Il Crocifisso posto nell'altare laterale destro è databile tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo e ornava in precedenza l'interno della Chiesa di Santa Maria alla Scala, demolita per la costruzione del famoso teatro a Milano nel 1774.
L'organo, posto in controfacciata sopra la bussola di ingresso è pregevole opera di Cesare e Giovanni Bernasconi risalente al 1902. Lo strumento, restaurato nel 2010, incorpora un cospicuo numero di canne che appartenevano al precedente organo costruito da Eugenio Biroldi nel 1790.
Chiesa di Santa Maria della Rosa
La chiesa di Santa Maria della Rosa si trova posta esternamente al territorio comunale di Robecco sul Naviglio. Essa è infatti adiacente al camposanto cittadino che si trova eretto fuori dagli antichi confini dell'abitato.
La struttura ha origini piuttosto antiche e venne probabilmente eretta dopo la peste manzoniana del 1630, divenendo presto un luogo di culto di notevole portata nell'area, grazie ad un dipinto miracoloso conservato al suo interno che raffigura appunto la figura della Vergine che tiene una rosa tra le mani: ella era invocata in periodi di particolare difficoltà quali guerre ed epidemie, giungendo sino ad essere invocata contro la siccità.
Un tempo, per la sua particolare posizione, la chiesa era la sede prediletta per la celebrazione dei riti funebri della comunità di Robecco, usanza che però col tempo è caduta pressoché in disuso e oggi la cappella è utilizzata molto raramente.
Chiesa di San Francesco
La piccola chiesa di San Francesco ha origini antichissime e gli ultimi rilievi su di essa hanno consentito di datarne le fondazioni al XIV secolo.
Essa è posta in un luogo altrettanto ricco di storia, addossata a quello che doveva essere l'antico castello robecchese, nei pressi di Villa Gromo di Ternengo il che ha fatto ritenere che essa potesse aver svolto anche il ruolo di cappella gentilizia.
Alla sua edificazione, si sa che essa dipendeva dalla Chiesa Parrocchiale di Sant'Andrea di Casterno, passando successivamente alla gestione della chiesa di San Giovanni Battista quando questa ottenne la dignità parrocchiale indipendente.
Mulino Pietrasanta
Il Mulino Pietrasanta è uno dei più antichi sul territorio dal momento che esso risulta attivo già nel XV secolo quando era noto col nome di "Molinetto dei Frati" in quanto era posto alle dipendenze del monastero di Casterno. Col passaggio di gran parte dei beni ai nobili Pietrasanta, il nome venne mutato nell'attuale.
In esso inoltre si trovava un affresco raffigurante una Madonna col Bambino affiancata da San Sebastiano sotto il quale vi era la data dell'esecuzione "1404" e la firma dell'artista che lo eseguì, Giovanni Molinari. L'affresco, staccato dalla parete originaria, si può oggi ammirare nella chiesa di Sant'Anna di Carpenzago.
Chiesa di San Bernardo
Di un oratorio dedicato a San Bernardo alla Cascinazza di Robecco sul Naviglio, si hanno notizie per la prima volta da una relazione del 1567 di Padre Leonetto Clavionio, relatore apostolico e vicario per conto di San Carlo Borromeo, il quale viene personalmente a visitare il luogo il 1º aprile del 1570 (dopo aver sostato a Robecco e prima ancora a Corbetta), constatando la necessità di eseguire dei lavori per la ristrutturazione dell'edificio.
I lavori incominciarono però solo nel 1605, sotto il patrocinio del cardinale Federico Borromeo, successore di San Carlo sulla cattedra episcopale milanese. L'opera, finanziata dagli abitanti del borgo e dal feudatario locale, il nobile Baldasarre Casati, viene completata nel 1641, anno in cui la chiesa viene benedetta ed ufficialmente riaperta al culto.
Altri lavori di restauro interni alla struttura, si compirono nel 1725 quando l'abate Giovanni Battista Casati, discendente della nobile famiglia feudataria, fece restaurare una tavola raffigurante la Madonna in trono con Gesù Bambino, attorniata dai Santi Paolo e Bernardo, opera del XV secolo che ancora oggi si può ammirare sull'altare della chiesetta.
La struttura, a parte alcune varianti strutturali modificate nel Settecento, è rimasta da allora pressoché la stessa del progetto originale, con una facciata lievemente mossa da lesene e riquadrature sul modello della Chiesa di San Sebastiano a Corbetta. Lungo tutta la superficie esterna, si alternano in un gioco di luci ed ombre il bianco dell'intonaco ed il colore rosso scuro dei mattoni a vista che compongono anche il piccolo campanile, dotato di una sola campana.
Cascinazza fa parte della millenaria Parrocchia di Casterno, insieme all'altra frazione di Robecco, Carpenzago. Negli ultimi anni, con l'avvicendarsi del parroco, nella chiesetta della frazione non viene più celebrata la messa se non in qualche sporadica occasione.
Oratorio di San Carlo
Riedificato integralmente nel XVII secolo, l'Oratorio di San Carlo di Castellazzo de' Barzi sorgeva anticamente sulla pianta dell'antico oratorio campestre di San Salvatore, eretto già a partire dall'epoca longobarda per sopperire alle esigenze dei contadini dell'area, che necessitavano di un adeguato luogo di culto in loco e già citato da Goffredo da Bussero nel suo Liber Notitiae Sanctorum Mediolani della fine del XIII secolo.
La chiesa era ancora dedicata a San Salvatore nel 1567 ed era dipendente dalla parrocchia di Magenta. Durante la visita pastorale di Leonetto Clavone, delegato dell'arcivescovo Carlo Borromeo alla visita pastorale in questa zona, venne rilevato come l'oratorio era nel tempo passato di proprietà alla famiglia Barzi che vi faceva occasionalmente celebrare messa. Le disposizioni suggerite dal Clavone vennero sottoscritte dall'arcivescovo il quale tornò personalmente in una visita pastorale tre anni più tardi per verificare lo svolgimento delle disposizioni che ad ogni modo si erano protratte nell'esecuzione per lungaggini coi proprietari e ancora nel 1581 la chiesa vessava in pessime condizioni. Finalmente nel 1592, alla visita pastorale del delegato mons. Paolo Salò, i decreti precedentemente emanati erano stati eseguiti e la chiesa era stata completamente restaurata ed ornata al suo interno con figure di santi, oltre ad esservi stato eretto un nuovo altare, mentre mancava ancora un degno campanile e un battistero.
Nel 1623, l'arcivescovo milanese Federico Borromeo autorizzò il nobile Carlo Barzi, feudatario, ad esporre nella chiesetta di Castellazzo la reliquia della berretta cardinalizia di San Carlo che era in suo possesso e lentamente ma progressivamente si sentì il bisogno di ridedicare la chiesa al Borromeo. La chiesa passò sotto la gestione e la giurisdizione della parrocchia di Robecco sul Naviglio solo il 25 novembre 1875.
L'oratorio venne quindi visitato dal cardinale Andrea Carlo Ferrari, arcivescovo di Milano, nel 1897, ed egli evidenziò il cattivo stato di conservazione in cui vessava l'oratorio, pur ribadendone la responsabilità in capo ai proprietari, i marchesi Arconati Visconti Arese di Cassolo. La chiesa vessava in pessimo stato ancora nel 1928 e ci volle sino al 1943 per vedere i primi restauri consistenti, grazie alla generosità degli abitanti della frazione. Ancora nel 1934 il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, in visita pastorale così definiva la chiesa locale: "San Carlo è inservibile, umida, sconcia e merita di essere abbattuta".
La chiesetta, con la costruzione della nuova e più ampia chiesa parrocchiale della frazione nel 1955, cadde ancora una volta in abbandono e, sconsacrata
Villa Arconati
Costruito nel Seicento ad opera della famiglia dei Barzi, probabilmente sul castellaccio di impianto medievale, il palazzo si staglia ancora oggi imperioso nel centro cittadino. Passato successivamente alla famiglia Arconati, nel 1736 lo stabile venne venduto al Collegio Longoni di Milano che ne mantenne la proprietà perlomeno sino agli inizi dell'Ottocento pur alienando, dal 1780, le terre circostanti ad esso legate.
Il palazzo era utilizzato come un distaccamento utilizzato dagli alunni dell'istituto come sede perlopiù estiva, e proprio tra queste sue mura (come ricorda una lapide infissa sul portale) soggiornò anche Alessandro Manzoni:
Prima del Manzoni, presso questo stesso edificio, aveva soggiornato anche il sacerdote e musicologo lombardo Giovenale Sacchi.
L'edificio è costituito da una struttura quadrangolare, con l'impianto tipico di villa residenziale, ma a corte chiusa (in ricordo dell'antica struttura del castello ivi presente). La facciata, che si trova su un piccolo spiazzo che costituisce la piazza principale del piccolo borgo, è abbellita unicamente da un portale arcato e lavorato in forme semplici con delicate decorazioni lineari in cemento sporgenti. La corte interna, si apre su un unico cortile d'onore, che viene distinto sul fondo col tipico ingresso a tre arcate, distinte da colonne doriche in granito. L'interno non presenta tracce di pitture o opere scultoree di rilievo e oggi in esso sono state ricavate unità abitative. Fanno eccezione alcune meridiane a muro settecentesche di pregevole gusto barocco. Al primo piano era un tempo presente anche la cappella eretta dai barnabiti all'interno della struttura per celebrare la messa quotidiana per i ragazzi frequentanti il collegio, ma di essa oggi rimangono solo due lavandini in marmo utilizzati per lavare le mani prima delle celebrazioni.
Chiesa parrocchiale di Sant'Andrea apostolo
La chiesa di Sant'Andrea di Casterno ha origini antichissime . L'attuale struttura, risalente al XVII secolo, è stata eretta con tutta probabilità su una precedente chiesa risalente al X secolo di cui si sono trovate le fondazioni durante i lavori di restauro. Malgrado questo della struttura del Seicento si conservano solo alcune parti in quanto la chiesa è stata nuovamente rifatta parzialmente nel 1922.
Dal documento della visita pastorale del cardinale Giuseppe Pozzobonelli del 1760 sappiamo che l'abitato casternese aveva 496 abitanti di cui 356 comunicati e che la parrocchia di Casterno, comprendeva anche gli oratori di Sant'Anna e San Bernardo, rispettivamente a Carpenzago e Cascinazza. La chiesa parrocchiale possedeva terreni per un totale di 308.15 pertiche..
Originale e caratteristico è il campanile con tetto "a cipolla" assieme alla facciata a salienti della chiesa, atipici per l'area lombarda.
Il complesso della chiesa parrocchiale, è inoltre inserito nella piazza locale, che si staglia su un'altura naturale, ove è presente anche la casa del parroco e una corte annessa che risalgono con tutta probabilità al Settecento.
Chiesa della Madonna del Carmine
Risalente nelle fondazioni all'XI secolo, la chiesa della Madonna del Carmine di Casterno è stata probabilmente edificata nel luogo ove anticamente sorgeva la chiesa locale di San Martino. Popolarmente, la chiesa viene anche chiamata Gèsa dal boia (Chiesa del diavolo) in quanto al suo interno si può ammirare un'antica statua settecentesca rappresentante San Bernardo a guardia di un diavolo incatenato.
Villa Bezzera
Molino Marchesonia
Situato nei pressi dell'omonima cascina del territorio casternese, il molino Marchesonia viene riportato come già attivo agli inizi dell'Ottocento quando costituiva il principale mulino sull'area del borgo. Come emerso da alcuni lavori di restauro intrapresi sulla struttura, però, il mulino sembrerebbe come minimo risalire al XIV secolo in quanto vi si è rilevata la traccia di affreschi (ora perduti) risalenti a quell'epoca.
Questo mulino fu ancora una volta protagonista della storia locale quando, verso la fine dell'Ottocento, vi venne progettato dal proprietario un sistema che sfruttava l'energia idraulica della caratteristica ruota di ghisa che scorreva sulla vicina roggia per produrre energia elettrica, abbastanza da poter rendere completamente autosufficiente l'intera tenuta.
Molino Santa Marta
Il molino Santa Marta è un antico mulino del territorio casternese che ha iniziato ad operare nel 1870, quando vennero completate le pale sul fontanile Monegata.
Oggi il fabbricato è stato ristrutturato e nel locale interno si sono conservato la ruota originale ed una serie di ingranaggi in legno, oltre alla macina in pietra ed altri strumenti necessari per la lavorazione.
Attualmente l'edificio ospita un rinomato ristorante.
Molino Albani
Il molino Albani è posto lungo il corso della Roggia Verga, uno dei fontanili che attraversano il territorio di Casterno.
Pochissime sono le notizie che si hanno sul fabbricato, ma di certo la datazione delle sue mura perimetrali è precedente rispetto a tutto il complesso. L'aspetto, però, è quello datogli nell'Ottocento quando la famiglia Albani (già proprietaria dell'omonima villa ad Albairate) decise di proteggere la ruota esterna con un pratico tetto in tegole.
Una delle ruote che venivano utilizzate in questo mulino, è oggi conservata presso Villa Gromo di Ternengo a Robecco sul Naviglio.
STORIA
A partire dal XVI secolo, Robecco conobbe un vero e proprio periodo di splendore, coincidente col fatto che alcune tra le famiglie nobili milanesi di maggior rilievo scelsero questa e altre aree attigue per acquistare terreni dove costruire le loro residenze di campagna, investendo notevoli somme in vaste proprietà e latifondi molto redditizi. I Pietrasanta, i Barzi, i Casati, gli Archinto ed i Borromeo furono tra i primi a concorrere in questi acquisiti, avviando tra l'altro la costruzione delle splendide ville gentilizie lungo il Naviglio che ancora oggi si possono ammirare.
Sempre nel corso del Cinquecento, rimarchevole fu l'operato della figura di San Carlo Borromeo che, come arcivescovo di Milano, più volte si recò in visita nella Pieve di Corbetta ed a Robecco stessa (si ricordi l'oratorio di San Carlo nella frazione di Castellazzo de' Barzi) che in più occasioni si preoccupò anche di mediare alle diatribe tra i nobili locali come nel caso dello scoppio della peste del 1576 che vide l'abitato robecchese suddiviso in due differenti amministrazioni a causa delle disposizioni volute dal governatore spagnolo marchese d'Ayamonte che aveva predisposto poco prima che la divisione territoriale tra Milano (zona interessata dal contagio) e la zona pavese (area ritenuta ancora salubre) dovesse essere marcata dal corso del Naviglio Grande per maggiore sicurezza. Nel 1786 il comune di Robecco fu inserito nella provincia di Pavia.
Durante l'età napoleonica il comune si ingrandì temporaneamente annettendo Lugagnano e Castellazzo de' Barzi: per quanto riguarda il secondo borgo, l'unione fu resa poi definitiva nel 1870.
Durante la seconda guerra mondiale il borgo di Robecco fu centro di un'attesa resistenza alle forze nazifasciste tanto che nell'estate del 1944 otto cittadini robecchesi vennero barbaramente fucilati per rappresaglia, altri cinquantotto furono deportati nei campi di prigionia in Germania e, tra questi, nove morirono per gli stenti e le violenze subite. Si contarono anche notevoli danni ad alcune abitazioni come nel cado della cascina Chiappana alla periferia del paese che venne data alle fiamme.
In tempi più recenti, il borgo è comparso nel film L'albero degli zoccoli del 1978 del regista Ermanno Olmi con una notevole ripresa di diverse abitazioni lungo il Naviglio Grande e la maestosa facciata di Villa Gaia
FRAZIONI
Carpenzago,
La frazione di Carpenzago, ha origini antichissime, ascrivibili con tutta probabilità all'epoca celtica. Notizie certe sul nome del borgo le abbiamo a partire dalla metà del Trecento quando esso viene definito "Garbenzago".
Notizie circa l'XI secolo, ci vengono fornite addirittura dall'insigne storico milanese Giorgio Giulini, il quale riferisce nella sua "Storia di Milano" che negli scritti del “privilegio” del 1133 concesso da Papa Innocenzo II alla canonica di Mortara, figurava anche la chiesa di Santa Maria di Carpenzago (oggi demolita), compresa nell'arcidiocesi di Milano. Da quel momento, quindi, la chiesa entrò nell'orbita dei Canonici Regolari della Chiesa di Santa Croce di Mortara, i quali rimasero in paese sino alla fine del XV secolo quando subentrarono a loro i monaci di Sant'Ambrogio ad Nemus, legati alla potente famiglia locale dei Pietrasanta e già presenti a Casterno dove avevano fondato anche un monastero.
Notizie più precise circa la formazione dell'abitato, si hanno però solo a partire dalla topografia del Catasto teresiano del 1722, da cui si evince che il borgo era essenzialmente costituito da corti rurali, mantenendo questa struttura perlomeno sino a dopo la Seconda guerra mondiale.
Cascinazza
La storia del piccolo borgo della Cascinazza (toponimo molto diffuso nell'area padana, da non confondersi per esempio con la Cascinazza di Buccinasco, monastero benedettino), si deve indubbiamente far risalire all'epoca medioevale, a cui risalirebbero non solo alcuni reperti murari ritrovati, ma anche il nome stesso della frazione, che farebbe riferimento all'unica cascina presente nel territorio della frazione a quell'epoca.
Castellazzo de' Barzi,
Il primo nucleo abitativo di Castellazzo de' Barzi risale all'epoca romana, quando il piccolo borgo si trovava legato per interessi alla vicina Robecco sul Naviglio, con la quale condividerà gran parte della propria storia. Le testimonianze sono emerse grazie ad alcuni scavi in località Busc di Stregh nel 1873 quando venne ritrovata una vasta necropoli di epoca romana con oggetti in ceramica e terracotta, balsamari ed una moneta dell'imperatore Massimiano, materiale in seguito depositato presso il Museo archeologico Villa Pisani Dossi di Corbetta.
Lo sviluppo del primo vero e proprio borgo avvenne però in epoca medioevale, quando attorno al castrum già preesistente, presero a sorgere diversi cascinali ed abitazioni rurali: in questo contesto e in quello rinascimentale, crebbe la potenza della nobile famiglia dei Barzi, divenuta feudataria del borgo di Robecco sul Naviglio nel 1433, che rimase in carica sino al 1625, pur non disponendo della feudalità diretta anche su Castellazzo. Qui infatti, secondo le stime derivate dai dati del Catasto di Carlo V, i Barzi possedevano il 95% delle terre ma non avevano possesso dell'amministrazione del borgo. La casata ad ogni modo andò coi secoli in rovina venendo meno la predominanza del latifondo rispetto alle industrie ed all'evoluzione dell'artigianato locale legato alla presenza del Naviglio Grande. In un periodo di grande difficoltà dell'erario milanese, ad ogni modo, nel 1656 la Regia Camera decise di creare un nuovo feudo costituito dalle terre di Castellazzo de' Barzi, cascina Bardena e Cassinetta de' Biraghi. In un primo momento un notaio milanese, a nome a sua detta di una ricca famiglia, fece pervenire una nota d'interesse all'acquisto, ma la comunità di Castellazzo de' Barzi decise di avanzare dal canto suo la richiesta di emanciparsi dall'infeudazione pagando il riscatto necessario ad evitarsi questa pratica, pagando 30 lire (prezzo di favore rispetto alle 45 chieste ai privati) per le 12 famiglie ("fuochi") ivi residenti. Per pagare la somma di 360 lire la popolazione locale chiese una dilazione che concluse definitivamente i pagamenti solo nel 1668.
Dalle mappe del catasto teresiano del 1722, apprendiamo invece la prima radicazione di tali case, sviluppate in prevalenza lungo l'asse della strada che proveniva da Cassinetta di Lugagnano e che conduceva a Robecco, l'attuale via Manzoni. Nel 1736 parte del patrimonio dei Barzi venne smembrato, con la vendita addirittura del "Castellaccio", ovvero del Palazzo de' Barzi che ancora oggi è presente in centro al borgo. Esso contava all'epoca circa 204 abitanti, mentre nel 1805 dopo la Rivoluzione e le guerre napoleoniche, già gli abitanti erano ridotti a 180 circa.
Sino al 1º settembre 1870, Castellazzo de' Barzi costituì comune autonomo venendo in seguito, come già era accaduto in età napoleonica, aggregato a Robecco sul Naviglio, di cui ancora oggi è frazione.
Malgrado l'evoluzione dei tempi, ad ogni modo, Castellazzo è rimasta un paese agricolo anche dopo l'unità d'Italia, giungendo sino ai giorni nostri, dove ha acquisito connotati prevalentemente residenziali.
Casterno
Casterno è una delle località più antiche del territorio robecchese, in quanto i reperti più antichi ritrovati in essa risalgono all'età romana e più precisamente al II secolo a.C. quando si suppone che l'area ospitasse un castrum externum romano (da cui anche il nome di "Casternum"). La stessa posizione geografica della frazione, posta su un'altura sovrastante la valle del Ticino, è indubbiamente stata per molti secoli un luogo ideale per costruire fortificazioni difensive in quanto non solo era possibile controllare le terre robecchesi, ma anche buona parte del corso del fiume.
In epoca longobarda si installò a capo di queste fortificazione la famiglia dei "de Casterno" di cui troviamo citato un Pietro che il 28 dicembre dell'874 trovavasi a Milano per presenziare ad un placet presieduto dall'arcivescovo Ansperto e dai conti germanici Bosone ed Alberico, messi imperiali di Ludovico II del Sacro Romano Impero. Altra citazione del borgo l'abbiamo con un Adelberio, figlio del fu Aldone "de Casterno" il quale era presente a Pavia il 1º maggio 928 come testimone nell'ambito di una vendita di beni nel luogo di Paone fatta dai coniugi Adelburga e Disone al marchese Berengario.
Fu l'evoluzione delle prime fortificazioni presenti sul territorio casternese a portare alla nascita di un vero e proprio castello medioevale, già citato in alcuni documenti del 1050, poi distrutto nel 1245. Nel medesimo periodo viene anche citato un Amedeo de loco Kasterno che con la consorte Imilda del fu Vunifredo di Milano vendeva il 9 ottobre 1050 dei beni giacenti tra cui alcune proprietà a Casterno a tale Opizzone, canonico della chiesa collegiata di San Vittore martire di Corbetta: in questo stesso documento si fa riferimento ad una pezza di terra giacente entro le mura del castello locale. Con il termine degli scavi del Naviglio verso la fine del XIII secolo, iniziò per Casterno una nuova era di splendore in quanto il vicino corso d'acqua garantiva una via veloce di collegamento con Milano e coi maggiori centri di scambio dell'area. Fu così che il borgo divenne feudo della famiglia Pietrasanta, mentre i monaci milanesi di Sant'Ambrogio ad Nemus acquistarono dei terreni sui quali sorse un monastero di cui però i Pietrasanta si riservarono sempre la scelta del priore, approfittando del fatto che tra i fondatori dello stesso ordine vi era Antonio Pietrasanta, antenato dei conti all'epoca reggenti le terre di Casterno, oltre al fatto che il priore generale dell'Ordine era all'epoca padre Lodovico Pietrasanta, sempre imparentato coi nobili locali. La gestione della chiesa e del monastero locali passarono successivamente ai Carmelitani della Congregazione di Mantova, ai quali rimase sino al 1780 quando l'ordine religioso venne soppresso ad opera dell'Imperatore Giuseppe II.
Al periodo austriaco risale anche la prima cartografia precisa dell'abitato, grazie al Catasto teresiano del 1722. Il paese era all'epoca distribuito lungo una via centrale che ancora oggi caratterizza il nucleo storico della frazione.
La storia del XIX e XX secolo è per Casterno un momento di sviluppo economico e sociale di rilievo in quanto, soprattutto nell'aspetto residenziale ed agricolo, la frazione è andata ingrandendosi, definendosi sempre più come centro di collegamento con la vicina Abbiategrasso.
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